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ANCEMAG
Copertina – Issue 12

Dalla città indifesa alla città spugna

di Umberto Mancini

pag. 14

Accelerare gli investimenti per la crescita

di Dino Pesole

pag. 24

Dalla rigenerazione al piano dei servizi: il modello Napoli

di Ercole Incalza

pag. 26

Obiettivo domani: le proposte Ance per il mercato dei lavori pubblici anche dopo il 2026

di Antono Troise

pag. 38

La sfida dei Giovani per tracciare il futuro

di Angelica Krystle Donati

pag. 42

Modello Cis, il cantiere diventa un laboratorio per la sostenibilità

di Enrica Procaccini

pag. 50

Rigenerazione e coesione: in Calabria la sfida europea per lo sviluppo sostenibile

di Maria Rita Galati

pag. 52

Federcostruzioni: il Pnrr modello da valorizzare

Intervista con Emanuele Ferraloro e Paola Marone

pag. 54

Il Futuro è in città

Casa e infrastrutture obiettivi prioritari

Intervista al ministro Zangrillo: "La nostra sfida per una Pa amica di cittadini e imprese" di Adriano Baffelli

incipit

Ripensare il centro urbano come organismo vivo e attento alla cultura

Grazie alla vivace iniziativa Città nel Futuro, ospitata dal Maxxi di Roma, i temi dell’adattamento climatico, dell’emergenza abitativa e della sostenibilità urbana si intrecciano in una riflessione comune: ripensare la città come organismo vivo, capace di reagire, accogliere e rigenerare. L’adattamento climatico, oggi, non è più solo una questione ambientale ma anche sociale: gli eventi estremi, le isole di calore, la scarsità d’acqua ridefiniscono le priorità dell’abitare. L’emergenza casa, in tale contesto, non è soltanto mancanza di alloggi ma perdita di sicurezza, di accesso, di prossimità. Serve allora una città sociale, che ricostruisca legami e mutualità, dove lo spazio pubblico torni a essere infrastruttura di comunità. Le infrastrutture, infatti, non sono solo reti materiali ma dispositivi civici che connettono persone e risorse: mobilità sostenibile, verde urbano, energia condivisa, dati aperti. Dalla città indifesa, esposta alle vulnerabilità climatiche e sociali, occorre passare alla città spugna, capace di assorbire le piogge come le differenze, di trattenere e restituire valore, trasformando l’acqua da minaccia a risorsa e la fragilità in occasione di progetto. Le città sostenibili non nascono da modelli astratti ma da pratiche quotidiane: riuso del costruito, mix funzionale, economie circolari di quartiere, politiche di equità nell’accesso ai servizi. Nelle pagine che seguono trovate interessanti approfondimenti e riflessioni proposti da qualificati giornalisti e professionisti di varia estrazione. Un’opportunità per continuare il dialogo andato in scena al Maxxi, grazie alla sapiente regia dell’Ance, della presidente Federica Brancaccio e alla direzione di Francesco Rutelli, già sindaco di Roma e ministro per le Attività e i Beni culturali. Nel suo libro “Città vince città perde”, Rutelli ricorda il fondamentale ruolo della cultura come motore di sviluppo urbano: “Lo sviluppo urbano richiede trasformazioni incessanti, ben programmate, progettate e realizzate. E infrastrutture contemporanee, fisiche e digitali. Senza la cultura – scrive Francesco Rutelli – le città restano immobili, dunque, regrediscono”. Finis coronat opus.

 

Quella di “Città nel futuro 2030-2050” è stata una grande scommessa per riportare l’attenzione su temi centrali per il nostro Paese nel dibattito e nelle agende della politica nazionale e internazionale. Tre giorni di confronti, proposte, progetti e discussioni su vere e proprie emergenze quotidiane come la casa e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Due questioni dalla portata enorme e con un grande impatto sulla vita quotidiana di ognuno di noi che faticano a ricevere lo spazio e l’attenzione necessari.

Grazie anche al nostro pressing iniziato sin dal 2022, il problema della casa è ormai percepito da tutti come prioritario, anche se fatichiamo a capire come gli impegni assunti, sia in Europa che in casa, si trasformeranno in atti concreti. Nel frattempo, i dati ci dicono che sono sempre meno le persone che possono permettersi una casa nei centri abitati più dinamici, dove si trovano lavoro e servizi.

Poche novità finora anche per le politiche di contenimento del rischio idrogeologico.

Abbiamo passato mesi a discutere se fossero giuste o meno le misure del green deal, mentre assistevamo inermi a inondazioni, alluvioni, frane e smottamenti in tutta Europa. Parlare di adattamento ai fenomeni climatici e sgomberare il campo da ideologie è dunque doveroso e impone scelte immediate per mettere in sicurezza territori e intere città.

Siamo consapevoli che la missione di una grande associazione come la nostra è proprio quella di stimolare attenzione e ricercare soluzioni efficaci a vantaggio dell’intera collettività. Per questo, e grazie alla sapiente direzione di Francesco Rutelli, ex stimato sindaco di Roma e autore del recente volume “Città vince, città perde”, abbiamo chiamato a raccolta alcuni tra i principali esperti dei temi prescelti e li abbiamo messi a confronto con le istituzioni, la politica, gli stakeholder e gli operatori economici.

Una tre giorni intensa, nella splendida sede del Maxxi a Roma, che, anche grazie alla partnership con il già collaudato” Festival di città in scena”,  è riuscita a coinvolgere una fetta sempre più ampia di volenterosi decisi a voler fare la propria parte per ridare linfa vitale e grande slancio alle nostre splendide città.

apertura

l’inchiesta

Il futuro
è in città

Città spugna e smart, grandi e piccole, sostenibili e rigenerate. Ancora una volta è nelle città che si gioca una delle partite cruciali per lo sviluppo del Paese. Per questo abbiamo deciso di dedicare la nostra inchiesta a questo tema. Partendo proprio dalla conferenza “Città nel Futuro 2030-2050” che per tre giorni ha riunito al Maxxi di Roma rappresentanti ai massimi livelli della politica e delle istituzioni, imprenditori, professionisti ed esperti, oltre ai vertici dell’Ance nazionale e ai responsabili delle associazioni territoriali. C’è un filo rosso che tiene insieme la rigenerazione urbana, l’adattamento climatico, l’emergenza abitativa, la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale fino al governo delle acque. Un filo rosso che arriva fino al Piano Casa per rispondere ad un’emergenza che riguarda oltre 1,5 milioni di famiglie in Italia e che tocca quasi tutti i Paesi europei. Insomma, parlare di città non è solo un tema urbanistico, ma riguarda l’economia del Paese in tutte le sue sfaccettature e diventerà sempre più centrale nei prossimi anni, quando bisognerà pensare al futuro degli investimenti nella nuova stagione post-Pnrr. •
di Antonio Troise

l’inchiesta: il futuro è in città

Adattamento: cambieranno i nostri centri urbani

A Milano e Genova il modello di condivisione fra Stato, enti locali e gestori di servizi ha funzionato

di Luisa Grion

“Città nel futuro 2030-2050” è il titolo della Conferenza promossa da Ance che dal 7 al 9 ottobre ha riunito al Maxxi di Roma rappresentanti del governo, della politica e delle istituzioni, imprenditori, professionisti ed esperti.

Cambia il clima, devono cambiare anche le città. Ridurre le emissioni di gas e decarbonizzare sono obiettivi fondamentali per proteggere l’ambiente e gli uomini dai pericoli legati all’innalzamento delle temperature, ma questi interventi da soli non  bastano. I  processi  sono lenti e la strategia  – a partire da Trump – non sempre è condivisa. Se vogliamo evitare o almeno contenere  i danni che piogge torrenziali, siccità, innalzamento del livello del mare, frane, calamità che affrontiamo con cadenza ormai regolare possono generare in tempi stretti, dobbiamo agire anche sul territorio, rafforzando i “solai” per evitare che l’impalcatura crolli. L’emergenza riguarda tutto il pianeta, ma l’Italia per la sua particolare morfologia è in cima alla lista dei Paesi a rischio. A partire  proprio dalle città. Da Roma, di cui ricordiamo la corsa del cassonetto dell’immondizia nelle strade del centro trasformate in ruscelli, a Milano, sotto schiaffo per le esondazioni del Lambro e del Seveso, da Genova a Palermo, Napoli, Bari e Agrigento. Tanto più che dagli anni Sessanta ad oggi la quota di territorio costruito è triplicata (dal 2,8 all’8,3 %) in assenza o quasi di piani regolatori e in presenza, invece, di condoni edilizi.

Nella lista degli allarmi c’è quasi la totalità del territorio nazionale visto che secondo l’ultimo rapporto Ispra il 95% dei Comuniitaliani può considerarsi a rischio idrogeologico e che solo nel 2024, dati Legambiente, sono stati registrati 351 eventi meteo estremi, in aumento del 485% rispetto al 2015. Del resto la capitale europea della pioggia, contrariamente a quanto si crede, non è Londra, ma Milano, dove le precipitazioni annue sono  quasi doppie (1.162 millimetri contro 690)  rispetto a quelle della metropoli inglese. E i dati, letti assieme a quelli sulla siccità  e sulla dispersione della rete idrica in Sicilia (oltre il 50% di acqua sprecata), mettono in chiaro le complessità e le contraddizioni del caso.

Quindi, per  contenere i danni, bisogna intervenire adattando il territorio agli eventi calamitosi e guardando a quello che già stanno facendo altre città europee visto che per progetti realizzati siamo i penultimi in Europa battuti solo dalla Romania. A Barcellona, per esempio, il caso delle esondazioni metropolitane è stato risolto 25 anni fa quando, per far fronte alle continue emergenze, è stato costruito un reticolo sotterraneo  di 15 chilometri di gallerie e di 10 serbatoi di raccolta dell’acqua piovana. L’alluvione che nell’ottobre 2024 ha messo in ginocchio Valencia e causato 236 vittime, nella capitale della Catalogna, colpita da pari violenza, ha provocato disagi, ma danni contenuti e zero vittime. Altro modello cui ispirarsi è  Copenaghen, che dopo l’alluvione del 2011 ha fatto propria l’idea della “città spugna” inventata dall’architetto cinese Kongjian Yu: applicare sistemi di drenaggio naturale nei siti urbani per trattenere l’acqua e rallentare il deflusso delle piogge nei fiumi, riducendo così la probabilità di esondazioni e mitigando carenze idriche e isole di calore durante il periodo estivo. Un’idea che la capitale danese ha realizzato  mixando infrastrutture verdi - come il Parco Enghave, progettato per rallentare il deflusso dell’acqua - a infrastrutture grigie, come grandi tunnel sotterranei per deviare il deflusso delle acque piovane. Utilizzando, a tale fine, una miriade di interventi  impegnativi, anche micro: dighe, invasi, canali artificiali, sistemi di recupero e stoccaggio dell’acqua piovana, ma anche tetti verdi  e strade-giardino.

Ora non è che l’Italia in tutti questi anni sia rimasta ferma; durante  la tre giorni organizzata dall’Ance lo scorso ottobre a Roma (“Città nel futuro 2030-2050) sono stati messi in fila interventi di contrasto all’emergenza climatica già realizzati o in corso d’opera. Anche Milano, per esempio, sta lavorando al modello della città spugna progettando 90 interventi in 32 Comunidel territorio. Il piano è finanziato con oltre 50 milioni di euro dal Pnrr. A oggi sono 30 i cantieri conclusi e 19 quelli in corso d’opera, anche se il problema principale, le esondazioni del Seveso e del Lambro, non è ancora stato risolto. Su Genova, oltre 50 vittime a causa delle alluvioni dagli anni Settanta ad oggi,  c’è un investimento da un miliardo:  la punta di diamante  sono i 7 chilometri della galleria scolmatrice del Bisagno che dovrebbe essere portata a termine entro i prossimi due anni. Sugli Appennini si sta costruendo il primo acquedotto antisismico mai realizzato in Italia, un’opera che servirà il territorio delle province di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e  Ancona. È il rifacimento dell’acquedotto del Pescara crollato nei terremoti del 2016-2017.

 Modelli avanzati che andrebbero replicati  a livello nazionale e che invece  si scontrano  con una difficoltà  di reperire fondi (secondo il Consiglio nazionale degli ingegneri servirebbero 26 miliardi, dal 2000 ad oggi ne sono stati spesi poco più di 7), superabile almeno in parte attraverso una migliore gestione di quanto già a disposizione , visto che parte del Pnrr non è stato utilizzato. Ma non è solo una questione di soldi e di scelte politiche, conta anche la capacità di mettere in rete  dati e risorse. A Milano e Genova, a detta degli stessi amministratori, il modello di condivisione fra Stato, enti locali e gestori di servizi  ha funzionato, ma spesso non è così.  Non mancano invece i “cervelli”, molte delle opere realizzate all’estero sono frutto di supertecnici italiani.

Stefano Betti

Nei centri urbani convergono bisogni e aspirazioni dei cittadini. La città attrattiva è la sfida dei nostri giorni

Vicepresidente Ance - Edilizia e Territorio

Nella cornice della conferenza si è svolto anche l'evento conclusivo del festival Città in scena, che ha ospitato tavoli di confronto sulle tematiche inerenti la rigenerazione urbana.

“La città attrattiva: il ruolo della pianificazione urbana”, con Davide Agazzi, esperto di sviluppo e innovazione locale, co-fondatore di From, e Katia Tarasconi, sindaca del Comune di Piacenza, incontro moderato da Stefano Betti, vicepresidente Ance Edilizia e territorio

l’inchiesta: il futuro è in città

Gaetano Manfredi, presidente Anci, ed Edoardo Rixi, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti a Città nel futuro.

L'inaugurazione della conferenza alla Camera dei Deputati alla presenza di Lorenzo Fontana, presidente Camera dei Deputati, Francesco Rutelli, direttore Città nel futuro 2030-2050, Federica Brancaccio, Presidente Ance, e Massimo Martinelli. direttore Il Messaggero

La rotta tracciata dal Pnrr non va cambiata. Anzi. La traiettoria disegnata dal piano europeo è un valore da difendere e preservare. Continuando ad investire, a semplificare le procedure, a sviluppare progetti, a pensare in grande. Gaetano Manfredi, presidente dell'Anci, invita a fare tesoro di questa esperienza che ha messo al centro i Comuni, consentito di dare una forte spinta sul fronte delle infrastrutture, delle politiche abitative, dell'innovazione sul territorio. Una rivoluzione che ha segnato un reale salto di qualità rispetto al passato.

Gli enti locali - ha spiegato Manfredi - sono stati i protagonisti del Pnrr con il 93-94% dei progetti che sono andati o stanno andando a buon fine. I Comuni sono stati proattivi, hanno proposto progetti che erano realizzabili. Lo hanno fatto perché conoscevano il territorio, le esigenze da soddisfare, i gap da colmare. "Ma i Comuni - aggiunge - sono stati anche affidabili perché la realizzazione di un'opera pubblica richiede un'interazione con le comunità e il sindaco è la figura istituzionale più vicina al territorio, ai cittadini e quindi riesce a gestire le diverse esigenze. Il presidente dell'Anci, intervenuto a Città nel futuro 2030-2050”, sottolinea che oltre alla strategia e all'energia messa in campo dagli enti locali per programmare e realizzare, un ruolo decisivo è stato svolto dalle semplicazioni che il Pnrr ha attivato. Tempi e procedure burocratiche ridotte o azzerate, in uno scenario che imponeva e impone di fare presto e bene. Per non disperdere risorse e l'occasione storica di modernizzare città e borghi. Decisivo è non perdere questo abbrivio, evitando le "troppe intermediazioni", consentendo alle amministrazioni comunali di continuare a dare risposte concrete sulla casa, sulle trasformazioni urbane, come accaduto con i due grandi progetti Pinqua avviati.

Condivide, sulla scia di quanto indicato da Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma, che è importante, accanto alla semplificazione normativa, continuare sulla strada dei finanziamenti diretti. “Spesso in Italia ci sono troppe intermediazioni e queste comportano dei ritardi enormi nella realizzazione delle infrastrutture. Paradossalmente ci vuole più tempo a gestire i finanziamenti che a realizzare l'opera. Una valutazione condivisa dal viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi che ricorda la spinta del governo per cambiare.

Ma Manfredi pone l'accento anche sul tema dell'urbanizzazione, un processo che è partito negli altri Paesi molto prima che da noi e che di fatto è ormai inarrestabile. Tant'è che oggi in alcune aree del mondo più del 70% delle persone vive in città. "Questo fenomeno - sottolinea - determina però anche un maggior divario all'interno delle città. Per questo servono politiche di riequilibrio per evitare che aumentino i contrasti sociali, i conflitti, i disagi che caratterizzano le grandi periferie urbane del mondo. Ma come agire? Come utilizzare le risorse e disegnare il futuro delle città? Per Manfredi le politiche di riequilibrio partono dal recupero delle periferie con dei grandi programmi di rigenerazione urbana che prevedono il coinvolgimento di capitale pubblico e capitale privato. Accanto alla rigenerazione fisica vanno messi in campo strumenti per una rigenerazione sociale. Ovvero politiche di recupero educativo, politiche per lo sviluppo lavorativo, politiche di recupero ambientale. Quello che era "in nuce" nel Pnrr va portato a compimento. Una serie di interventi - è il ragionamento del numero uno dell'Anci - per  massimizzare l'impatto della trasformazione urbana rispetto a quelli che sono i benefici nei confronti delle comunità e questo rende anche la trasformazione urbana più accettata dalle comunità perché ne vedono un beneficio diretto. "Dobbiamo avere da un lato un progetto del futuro per il 2050, ma dall'altro dobbiamo avere un impatto al 2030, perché altrimenti le persone non capiscono bene se non hanno una ricaduta sulla loro quotidianità. Solo se si comprende il valore delle opere e a cosa servono concretamente, il processo del cambiamento funziona. È decisivo quindi studiare con attenzione come far emergere i vantaggi, come abbiamo fatto del resto a Napoli con l'intervento sulle Vele".

La parola chiave è coinvolgere la comunità, condividendo con i comitati dei cittadini i progetti. Nell'ambito di una politica di trasformazione che per le comunità sia immediatamente tangibile. Come deve essere concreto il piano Casa ora al centro del dibattito politico. Un piano che deve affrontare l'emergenza affitti, il tema dei costi, una grande sfida per il Paese. Manfredi sta lavorando proprio con l'Ance su questo fronte caldo ed è sulla stessa lunghezza d'onda della presidente Federica Brancaccio. L'obiettivo, nota, è quello di avere una casa accessibile a tutti. Servono quindi politiche di riqualificazione urbana, di rigenerazione abitativa, un progetto inclusivo che manca in Italia da tanto tempo. Non ci sono solo le criticità legate alle grandi città, a Roma, a Napoli e Milano. "La residenzialità si deve spalmare nell'intorno della città perché questo crea opportunità di crescita, opportunità di sviluppo ma crea anche la possibilità di fare investimenti. Perché se noi diamo una casa a una persona, le diamo dignità, la possibilità di fare figli, di crescere. C'è infatti - conclude Manfredi - una correlazione diretta tra la qualità abitativa e il benessere personale, la regolarità scolastica, l'impatto socio-sanitario. Va da sé che a fianco agli investimenti sulle politiche abitative, c'è la necessità di un grande investimento sul trasporto pubblico locale, sulle metropolitane, sull'ambiente. Bisogna guardare e affrontare in maniera integrata i problemi complessi che si risolvono solo con strategie complesse". La sfida è aperta. •

Federica Brancaccio e Francesco Rutelli aprono i lavori di “Città nel futuro 2030-2050”

“Città in scena“ dibattito su: “Nuove intelligenze per nuovi spazi: la tecnologia per la rigenerazione sociale delle città”, con Monica Lucarelli, assessora alle Attività Produttive, alle Pari Opportunità e all’Attrazione investimenti di Roma Capitale, Ezio Micelli, professore Iuav Venezia, Maurizio Tira, professore di Tecnica Urbanistica nell’Università di Brescia, past-president della Società italiana degli Urbanisti, moderato da Massimo Angelo Deldossi, vicepresidente Ance Tecnologia e innovazione.

l’inchiesta: il futuro è in città

Vannia Gava, viceministra dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, a Città nel futuro 2030-2050

Negli ultimi 25 anni in Italia si sono abbattuti una media di 100 eventi cataclismatici l’anno. Un numero che fotografa non solo l’emergenza continua e la fragilità del nostro territorio ma che evidenzia, se mai fosse ancora necessario ribadirlo, la necessità di intervenire in maniera organica. Una sfida difficile che parte da lontano, attraversa anni di immobilismo, e impone una visione nuova del futuro. Ma che, come emerso dal panel di “Città del futuro 2030-2050”, si può ancora vincere. A patto che tutti gli attori in campo, istituzioni, associazioni di categoria, governo, enti di ricerca, amministrazioni comunali, si muovano nella stessa direzione, sfruttando il know how di cui il nostro Paese è ricco, le risorse a disposizione e, punto centrale, una rinnovata volontà di agire sul territorio in maniera concreta. È stata proprio Vannia Gava, viceministra dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ad illustrare gli interventi messi in campo e quelli in fieri. Il nostro Paese – ha spiegato - è un territorio assolutamente fragile con oltre il 95% dei Comuniche deve far fronte al dissesto idrogeologico, mentre oltre 8 milioni di cittadini vivono in aree a rischio medio tra problematiche legate alle frane e agli eventi sismici. Il governo - ragiona - si è dato da un lato l’obiettivo di abbassare le emissioni climalteranti, dall’altro quello di mettere in sicurezza le aree nelle zone più critiche. “Abbiamo messo in campo risorse per un miliardo nel 2024 e oltre 500 milioni nel 2025 proprio per avvviare quei lavori di prevenzione necessari a scongiurare le crisi. Il tema è ampio. Perché accanto alla programmazione, bisogna lavorare sull’adattamento climatico. Gava ricorda che il Pnacc, il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, adottato nel 2024, va in questa direzione. Prevede 360 azioni per quanto riguarda la gestione delle acque per le aree urbane e il sistema della difesa del suolo. Inoltre sono stati finanziati due programmi sperimentali, condivisi con Ispra e Anci, per la forestazione anche nelle aree urbane e per l’edilizia climatica, con interventi per il drenaggio e la gestione delle acque. Piani complessivi per circa 220 milioni di euro. Circa 160 milioni sono stati invece impegnati per la rigenerazione urbana, la difesa e la riduzione di consumo del suolo. Non solo. Il ministero dell’Ambiente, ricorda Gava, ha varato i “cam”, i criteri ambientali minimi per le opere infrastrutturali. E sta studiando un altro intervento, da condividere con i soggetti interessati, per promuovere i lavori integrati per gli edifici: dalla sicurezza sismica alla resilienza climatica. Un tavolo operativo è stato aperto al Mit per accelerare i tempi e stilare un cronoprogramma. Misure che vanno individuate d’intesa con tutte le associazioni di categoria, gli enti di ricerca, le amministrazioni. Un tavolo che ha uno scopo ambizioso. Provare a pianificare una città intelligente per il futuro, in grado di non sprecare l’acqua quando la stagione è secca e di gestire i picchi di piovosità nei momenti difficili. Importante, secondo la viceministra, la scelta del governo di confermare per gli anni 2026-2027 l’aliquota del 50% per tutti i lavori di efficientamento energetico degli edifici. Fa capire però che la strategia non si ferma qui. Sarà infatti avviato uno studio più approfondito, sempre con il Mit, per un fondo da destinare alle abitazioni, andando, almeno in prospettiva, oltre al Pnrr. Grande attenzione anche alle aree colpite dallo spopolamento, spesso in aree geografiche disagiate, che vanno supportate non solo con nuove risorse ma anche puntando sulle semplificazioni normative. Per fare questo, per portare a compimento questo ampio ventaglio di misure, Gava chiede il coinvolgimento dell’Ance perché solo così si può affrontare uno scenario complesso. E che i temi siano tanti e interconnessi lo conferma Erasmo D’Angelis, grande esperto del settore idrico e di dissesto idrogeologico, nonché presidente della Fondazione Health Water Agenda. Pone subito l’accento su alcuni dati oggettivi: l’Italia ha il record in Europa di movimenti franosi, oltre 750 mila, con 7.644 corsi d’acqua, la maggior parte dei quali a regime torrentizio, ovvero difficilmente contenibili quando piove molto. Per non parlare dei 10 vulcani attivi, della fragilità di un territorio che ha visto un aumento record di consumo del suolo dagli anni ‘60 ad oggi, mentre Milano, in pochi lo sanno, è la città più piovosa del Vecchio Continente. Accanto alle problematiche, l’Italia, che conta precipitazioni medie per 300 miliardi di metri cubi annui, ha anche le conoscenze, gli strumenti per risolvere i problemi. Come dimostrano plasticamente il Mose a Venezia, e i lavori fatti a Genova per allargare e mettere in sicurezza i fiumi intombati. Certo va risolto il nodo del fiume Seveso a Milano, che allaga la città a cadenze regolari. Ma anche qui i progetti ci sono ma restano nel cassetto. D’Angelis ricorda che nonostante i finanziamenti, stanziati dal 2016, le casse d’espansione sono ferme al palo, disperse nelle nebbie sotto il Duomo. A far paura il nuovo effetto alluvioni-lampo che interessa le aree urbane, testimoniato dal mitico cassonetto che galleggia per le strade di Roma. Da qui l’esigenza di far nascere le città-spugna, capaci di raccogliere le acque, gestirle, sfruttando il cambiamento climatico per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Le tecnologie, dice D’Angelis – ci sono, tant’è che le esportiamo all’estero, realizzando casse d’espansione, sistemi intelligenti per riciclare l’acqua piovana, dighe, canali artificiali scolmatori, “parchi” della pioggia. Bisogna solo saperle attivare, come hanno fatto a Parigi, Amsterdam, Londra e Barcellona, riprogettando le città. Magari utilizzando l’intelligenza artificiale per avvertire i cittadini dei rischi in tempo reale. Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila, teme invece che le nuove scelte europee possano distrarre risorse per prevenire il dissesto e spinge per un grande piano organico di interventi per difenderci dalle aggressioni della natura. Sulla stessa linea Guido Castelli, commissario del governo alla Ricostruzione, che invoca una strategia per gestire insieme crisi sismica, crisi climatica e crisi demografica. Le tre cose si tengono, come l’urgenza di affrontare il problema in maniera globale. •

Virginio Trivella

”Incentivi e finanza per stimolare in modo efficace l’efficientamento energetico degli edifici”

Consigliere delegato efficienza energetica - Assimpredil Ance

Silvia Ricci

”Tutela dell’ambiente per garantire alle generazioni future luoghi e città più verdi e sane dove abitare”

Vicepresidente Ance - Transizione ecologica

l’inchiesta: il futuro è in città

Emissioni zero: incentivi da potenziare

di Emanuele Imperiali

L’attuale sistema degli incentivi non è all’altezza della sfida epocale che le città stanno vivendo, in vista di un patrimonio edilizio a emissioni zero al 2050, obiettivo posto con forza dall’Unione Europea. Parola di Virginio Trivella, delegato all’efficienza energetica di Assimpredil Ance, che ha introdotto la tavola rotonda sul tema «Città sostenibili: il futuro degli incentivi tra sfide nazionali e scenari europei» svoltasi nell’ambito della tre giorni “Città nel Futuro” organizzata dall’Ance. L’interrogativo che ha posto Trivella, aprendo il dibattito, al quale hanno partecipato Gregorio De Felice, Head of Research and Chief Economist Intesa Sanpaolo, ed Enrico Zanetti, consigliere del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e a lungo viceministro al Mef, è efficace: senza strumenti fiscali adeguati la finanza privata non si attiva, ma senza finanza privata gli incentivi pubblici non bastano. E allora, come si esce da questo almeno apparente dilemma? Anche perché i numeri esposti dal rappresentante di Assimpredil Milano sono da far tremare le vene ai polsi: «La dimensione della sfida – spiega – va letta alla luce delle stime dell’Ance: entro il 2035, serviranno interventi su almeno un milione e mezzo di edifici residenziali e 300mila non residenziali». Tutto ciò richiederà un volume di investimenti valutabile in diverse centinaia di miliardi. «Ai quali poi – incalza Trivella – bisogna aggiungere gli obiettivi del settore pubblico, per una riqualificazione del 3% annuo della superficie edilizia». Ecco perché il delegato di Assimpredil giunge alla conclusione che bisogna utilizzare sinergicamente tutte le leve disponibili, dalle politiche pubbliche capaci di mobilitare incentivi, alla finanza privata, agli strumenti normativi, alle competenze presenti nel Paese. Un dato di fatto, a parere dell’Ance, è incontrovertibile, le attuali aliquote piatte e di bassa intensità non stimolano il mercato. Per di più, è venuta anche meno la possibilità per le imprese edili di cedere i crediti fiscali. Ecco allora che si torna al punto cruciale della domanda: come colmare con incentivi pubblici e risorse private, tra loro coordinate, il fallimento del mercato nel promuovere gli obiettivi che oggi le città hanno? Che sono sostanzialmente due. Il primo, la transizione ecologica ed energetica del patrimonio edilizio esistente. Il secondo, l’accesso alla casa per quelle fasce di popolazione che non hanno la possibilità di averla a costi di mercato. Non raggiungere queste due finalità significa inevitabilmente perdere la sfida con la rigenerazione urbana. Ance ha messo a punto un piano, condiviso con le Istituzioni, che si basa su una nuova struttura di incentivi, attraverso un mix tra detrazioni fiscali, finanza agevolata e contributi diretti, modulati in funzione della capacità contributiva dei beneficiari.

Per Gregorio De Felice, se le imprese appaiono troppo prudenti sugli investimenti, è perché gli incentivi arrivano tardi. Ed è questo il motivo principale per cui gli investimenti alla fine non si fanno. «Se c’è attesa per uno stimolo – sottolinea – si ferma tutto aspettando l’incentivo». Ed è quel che è successo nel 2024 e anche finora nel 2025. «Per fortuna l’ultimo dato sugli investimenti è leggermente positivo, in quanto si può spendere utilizzando le risorse del Pnrr, che però, scade tra un anno circa». In particolare, per l’edilizia, il capo economista di Intesa Sanpaolo nota una divaricazione: maggior cautela sul residenziale, anche per effetto del rimbalzo dopo i lavori del Superbonus e degli altri incentivi sulla casa, molto più spazio per le opere infrastrutturali connesse al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. In definitiva, secondo De Felice, l’attuale sistema di incentivi ha livelli troppo bassi di intensità per agire da vero stimolo. «Il Mef si trincera dietro il loro costo elevato – interviene Trivella – e allora ben venga almeno un uso efficace della garanzia pubblica per l’attivazione del Fondo nazionale per l’efficienza energetica, rivolto alle imprese e alle Pubbliche Amministrazioni». Enrico Zanetti esordisce chiarendo un punto molto importante: per la transizione energetica il 2026 e il 2027 sono gli ultimi due anni su cui si scaricano pesantemente sul bilancio pubblico gli effetti del Superbonus. Inoltre, a fine anno entra in vigore l’incentivo Conto Termico 3.0, una misura interessante, pur se con risorse insufficienti, perché il Governo ha spazi limitati di finanza pubblica. «Non mi farei grandi illusioni – conclude – Ha ragione il ministro Giorgetti quando dice che le case green sono bellissime, ma chi ci mette i soldi?»

Il tema del futuro delle città richiama quello del clima, argomento di un’altra tavola rotonda su «Città e clima: scenari, soluzioni e responsabilità», moderato dalla vicepresidente Ance Silvia Ricci, al quale partecipano il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli e il direttore del reparto di Pneumologia dell’Istituto dei Tumori di Milano Roberto Boffi. «Perché l’incidenza che hanno le città, che noi contribuiamo a costruire, sull’ambiente circostante – rileva la Ricci – è rilevante». Mirabelli spiega che nel 2022 è stata introdotta in modo esplicito la tutela dell’ambiente in Costituzione, prima c’era solo un accenno nei rapporti tra Stato e Regioni. «La città – sottolinea – è memoria di una comunità nel tempo, ma anche apertura alla comunità del futuro». La tutela dell’ambiente costituzionalmente garantita implica due aspetti: salvaguardia del contesto generale di vita di una persona. E attenzione all’ambiente per conservarlo a favore delle generazioni successive. «Ecco perché – ribadisce Mirabelli – l’attività economica, la cui libertà è costituzionalmente garantita, deve rispettare sempre l’interesse collettivo, nell’ambito del quale c’è il rispetto dell’ambiente». E l’ambiente non va inteso soltanto come struttura fisica ma come contesto nel quale vive una persona. Boffi esordisce mettendo in risalto la vulnerabilità e l’esposizione ai fattori di rischio ambientale per ciascuno di noi, in particolare il rapporto con un ambiente più o meno malato. Ciò genera conseguenze non solo sulla nostra vita, ma attraverso il Dna, anche sulle generazioni future. «Non è un caso – sottolinea lo pneumologo – che nella Pianura Padana l’aspettativa di vita sia in media inferiore di circa due anni, che non è affatto poco». Eppure, lamenta Boffi, nei corsi universitari di medicina si studia ancora troppo poco la materia ambientale. Lo pneumologo dimostra come il fumo passivo influisca sull’inquinamento addirittura più delle emissioni dei motori diesel: «Le sigarette – spiega - inquinano 10 volte di più rispetto alle auto». Apprezzando il passo in avanti che si è fatto con la legge Sirchia nel 2002, auspica che la norma applicata a Milano da gennaio di quest’anno, in base alla quale è vietato fumare a meno di 10 metri dagli altri anche all’aperto, venga estesa al resto del Paese. «Perché l’inquinamento è vigliacco – conclude – e colpisce in particolare le persone più fragili, a partire dai bambini».

Angelica Krystle Donati

”Città luogo per rispondere a calo demografico e difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”

Presidente Ance Giovani

Antonio Ciucci

”Sostenibilità delle periferie e accessibilità alla casa: le sfide su cui si costruisce una grande città”

Presidente Ance Roma - Acer

l’inchiesta: il futuro è in città

Per una manovra il cui obiettivo principale è ridurre già quest’anno il deficit al 3% del Pil (rispetto al 3,3% previsto in primavera) così da garantire con un anno di anticipo l’uscita dalla procedura d’infrazione aperta da Bruxelles per disavanzo eccessivo, i margini di finanza pubblica erano già esigui nelle premesse. Non vi è dunque da meravigliarsi più di tanto se la legge di Bilancio per il 2026 è di modesta entità (18,7 miliardi) e limitata nel suo raggio di azione. In ossequio alle nuove regole di bilancio europee che guardano soprattutto all’andamento della spesa primaria netta, la manovra che è ora all’esame del Parlamento prevede il ricorso a nuovo indebitamento per soli 900 milioni. Ben diverso è stato l’impatto dell’extradeficit nel 2024 (15,7 miliardi) e nel 2025 (altri 8,4 miliardi). Se ne riparlerà nel 2027, quando nell’approssimarsi delle elezioni politiche, si potranno mettere in campo circa 6 miliardi. Al momento, precluso il ricorso a nuovo extradeficit, il prospetto delle coperture individuato dal governo è tutt’altro che indolore, sia sul versante fiscale che su quello della spesa corrente. Obiettivo, finanziare gran parte degli interventi inseriti in manovra, a partire dal taglio dell’ aliquota Irpef per i redditi da 28mila a 50mila euro, che costa 9 miliardi nel triennio ed è diretta a 13,6 milioni di contribuenti. Ne sono esclusi i percettori di redditi superiori ai 200mila euro annui, ma si tratta di un’esigua minoranza: 146mila contribuenti (lo 0,34% del totale). Quanti dichiarano più di 50mila euro (2,88 milioni di italiani) potranno contare su uno sconto di imposta pari a 440 euro l’anno, cumulando così nel totale sconti per 1,27 miliardi all’anno. In sostanza, con questa manovra fiscale il governo punta a ridurre le imposte sul cosiddetto ceto medio, categoria del resto fra le meno definite del nostro sistema economico. Vedrà la luce anche la quinta rottamazione delle cartelle esattoriali, anche se in una versione più soft rispetto alle proposte originarie della Lega. Tra le coperture spicca in primis il contributo chiesto alle banche e alle assicurazioni. Operazione che ha creato non pochi malumori all’interno della maggioranza con Lega e Forza Italia schierati su fronti contrapposti. L’effetto è un gettito atteso nel 2026 che si attesta attorno a 4,3 miliardi, di cui 1,13 miliardi deriva dall’aumento di due punti dell’Irap (per tre anni) per banche, intermediari finanziari e assicurazioni (nel totale oltre 11 miliardi nel triennio). Tra le altre misure che determinano un incasso a fondo perduto l’affrancamento dei 6,2 miliardi di utili accantonati nel 2023: è confermata la possibilità di liberarli pagando un’aliquota ridotta al 27,5% nel 2026, con un gettito atteso di 1,65 miliardi. Poi la polemica si è spostata sugli affitti brevi con una misura (destinata anch’essa a cambiare nel corso dell’esame parlamentare) che aumenta dal 21 al 26% la cedolare secca da versare da parte dei proprietari di immobili che si avvalgano di intermediari tra cui Airbnb, in pratica il 90% dei casi. Ma anche il capitolo dei tagli alla spesa imporrà una cura dimagrante ai ministeri per 2,1 miliardi nel 2026 che salgono a 7 miliardi nel triennio tra tagli diretti e rinvio degli investimenti, mentre una parte cospicua delle coperture è individuata nella rimodulazione di 5 miliardi che provengono dal Pnrr. Tutte misure inserite nel testo della manovra approvato dal Consiglio dei ministri, ma ora per un giudizio definitivo occorrerà attendere l’approvazione definitiva da parte del Parlamento, attesa come di consueto entro la fine dell’anno. Tra le correzioni in arrivo vi saranno certamente le riduzioni di spesa a carico del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per un totale di 525 milioni (vi rientrano tagli ad opere quali la Metro C di Roma, la linea M4 di Milano e la metro di Afragola). Il tutto a fronte di una manovra che avrà un effetto nullo sulla crescita nel 2026 e di un esiguo 0,1% nel 2027. In questo contesto va accolta con favore la decisione del governo di ripristinare due strumenti a beneficio delle imprese quali il superammortamento e l’iperammortamento anche se tale scelta ha comportato la rinuncia alla cosiddetta Ires premiale introdotta per il solo 2025. Nel totale la manovra per le imprese ammonta a 4 miliardi, che risultano però ampiamente “compensati” dai 5,2 miliardi chiesti (anche questa misura è destinata a essere rivista nel corso dell’iter parlamentare) sotto forma della nuova stretta fiscale sui dividendi, della revisione della tassazione delle plusvalenze e della norma sulla svalutazione dei crediti. Correzioni alla manovra sono possibili – fa sapere il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – ma nel rispetto dei saldi e senza deviare dal percorso delineato dalle nuove regole di bilancio europee. Ma spingere con maggiore incisività sul versante degli investimenti, e collocare gli interventi all’interno di un disegno complessivo che ponga in primo piano la politica industriale, e scommetta su asset fondamentali, a partire dal sostegno al capitale umano e dalla sfida posta dalle tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale, appare comunque una necessità e un’urgenza, che certo non può esaurirsi nel raggio di azione coperto da una sola legge di Bilancio. •

l’inchiesta: il futuro è in città

La nuova stazione della metropolitana di Napoli Capodichino, progetto a firma dell’architetto Richard Rogers e dello studio londinese Rogers Stirk Harbour+Partners. Schizzo di progetto (alto) e veduta dell’area prima dell’intervento (2019, basso)
Fonte: https://metropolitanadinapoli.it/stazione-capodichino/

La rigenerazione grande occasione per produrre un processo pianificatorio legato, in modo dominante, ai servizi offerti

Sperimentiamo una nuova procedura pianificatoria partendo dalla tessera base del nostro sistema Paese e cioé dalla città, da ciò che definiamo impianto urbano. E, forse, dovremmo affrontare questa interessante area tematica non prendendo in considerazione l’assetto e l’impianto geografico con le distinte attività ma esaminando attentamente l’offerta di servizi. Sarebbe opportuno, per la prima volta, considerare dove siano ubicati i servizi offerti:
dalla scuola alla sanità;
dalle varie attività amministrative e finanziarie (banche, poste, ecc.) ai grandi centri mercato;
dalla serie di locali per il tempo libero ai vari centri culturali;
dai grandi centri di deposito e stoccaggio per prodotti food e no food ai grandi impianti per l’approvvigionamento idrico e per la relativa distribuzione;
dai grandi impianti per l’approvvigionamento e la distribuzione energetica ai grandi hub logistici (stazioni ferroviarie, impianti aeroportuali, porti, interporti);
Una volta conosciuta questa che possiamo definire l’“offerta attuale di una realtà urbana” dovremmo effettuare più simulazioni sulle reali interazioni legate alla movimentazione delle persone e delle merci all’interno di tale sistema, di tale impianto urbano e ripetere più volte queste simulazioni non modificando le caratteristiche ubicazionali e le relative caratteristiche dimensionali e misurando, in modo capillare, i risultati, le anomalie e le criticità costruendo, in tal modo, diverse alternative.
Questo approccio motiverebbe in modo asettico ed oggettivo le possibili:
nuove ubicazioni dei vari siti;
nuove ubicazioni delle varie funzioni;
nuove presenze di attività inizialmente non presenti;
nuova articolazione di reti e di nodi generatrice di una nuova serie di interazioni funzionali.
Fin qui un banale approccio teorico e sicuramente eccessivamente ermetico, tuttavia, lo considero del tutto innovativo nel complesso ed articolato processo di rigenerazione urbana. Infatti, finora la serie di approcci disponibile si sofferma eccessivamente ed essenzialmente sui siti fisici, sulla capacità di riuso di ambiti dell’urbano in avanzato degrado sia dal punto di vista immobiliare che dal punto di vista funzionale e questo però non risponde ad una chiara caratteristica che invece dovrebbe possedere ogni forma di rigenerazione urbana e cioè la misurabile “organicità della iniziativa”.
In realtà è assurdo dare vita ad una rigenerazione di parti di città, è completamente antitetico ipotizzare una rigenerazione per tessere. Un simile approccio infatti non solo incrina alle basi la stessa rigenerazione ma amplifica, in modo irreversibile, le distanze qualitative e funzionali tra distinte realtà urbane.
Dovremmo convincerci, una volta per tutte, che una rigenerazione urbana non persegue una banale costruzione di una “beautiful city” ma una città che, pur mantenendo dei riferimenti fisici legati essenzialmente alle varie evoluzioni ed involuzioni temporali, diventa immediatamente congeniale alle esigenze dei fruitori della città stessa. In tutto questo diventa elemento davvero innovatore e rivoluzionario ciò che ancora forse non abbiamo capito adeguatamente e cioè l’articolato sistema di digitalizzazione di tutte le funzioni, di tutte le componenti che caratterizzano le interazioni tra le stesse funzioni.
Questa lunga premessa spero sia utile per ribadire che la rigenerazione urbana può sicuramente essere una grande occasione per convincerci ulteriormente sulla opportunità di produrre, in futuro, non un processo pianificatorio legato alle infrastrutture, ai siti residenziali, gli hub logistici ma legato, in modo dominante, ai servizi offerti. Sembra strano ma se riuscissimo a dare vita ad una esperienza pilota di “rigenerazione urbana” seguendo queste categorie procedurali, queste letture ed interpretazioni dell’esistente, potremmo allargare tale approccio anche alla dimensione rappresentata dalle realtà più vaste come le Regioni, come lo stesso Paese.
Forse prenderebbe corpo così il più volte annunciato e mai attuato “Piano dei Servizi”, quel Piano che necessariamente deve nascere dal basso, cioè da quello che, a tutti gli effetti, come detto prima, è la tessera chiave delle funzioni e delle esigenze di un Paese.
La sperimentazione potrebbe partire da una realtà urbana che contiene al suo interno tutte le condizioni per costruire un difendibile “Piano dei servizi”, mi riferisco, in particolare, alla città di Napoli. Di seguito riporto alcune delle motivazioni di una simile scelta:
1. è l’unica tessera del mosaico Paese al cui interno ci sono già tante componenti che caratterizzano l’articolato sistema che è alla base della funzione urbana con elevata carica entropica;
2. è sommatoria di funzioni fra loro interconnesse: funzioni logistiche (porti, nodi stazione, nodi destinati allo stoccaggio), funzioni commerciali, funzioni scolastiche e universitarie, funzioni sanitarie, funzioni culturali; tutte funzioni distinte ma, ripeto, fra loro strettamente interagenti
3. è una realtà urbana carica di “singolarità” sia nell’area terrestre che marittima come quella relativa alle isole di Procida, Capri e Ischia, una realtà che offre tante occasioni di rilettura integrale delle modalità legate alla gestione ed alla offerta dei servizi.
Una tale sperimentazione confermerebbe ancora una volta la definizione di città di Max Weber, una definizione prodotta 170 anni fa: “ambito territoriale caratterizzato dalla presenza di un complesso di funzioni e di attività integrate e complementari, organizzato in modo da garantire elevati livelli di efficienza e da determinare condizioni ottimali di sviluppo delle strutture socio – economiche”. •

La rigenerazione grande occasione per produrre un processo pianificatorio legato, in modo dominante, ai servizi offerti

In alto: l’Interporto di Nola. Fonte: https://www.interportocampano.it/2019/01/24/interporto-campano-zes-regione-campania/
In basso, la stazione di Porta Nolana (NA), progetto Gnosis Progetti. Fonte: https://www.gnosisarchitettura.it/progetti/eav-stazione-porta-nolana/

profili

intervista a

Paolo Zangrillo

ministro per la Pubblica amministrazione

Il ministro Paolo Zangrillo con Giorgio Santilli, direttore Diac, a Città nel futuro 2030-2050

In Italia il tessuto normativo è spesso percepito come un labirinto intricato di leggi, regolamenti e procedure, per questo l’attività del Dipartimento della Funzione pubblica assume un ruolo strategico. Il suo compito non è solo di garantire il funzionamento della macchina burocratica, ma anche di renderla più trasparente e vicina a cittadini e imprese. Un obiettivo ambizioso e indispensabile, se si pensa che la complessità legislativa è da anni uno dei principali ostacoli alla competitività e alla fiducia nelle istituzioni. Dalla fine del 2022 sono state introdotte misure che segnano una discontinuità rispetto al passato, puntando sulla semplificazione normativa e sulla digitalizzazione dei procedimenti. Un cambio di prospettiva che mira a ridurre drasticamente tempi e costi di adempimento. Si tratta di una “manutenzione” attesa da decenni, destinata a sciogliere quel nodo che spesso intrappola amministratori locali, professionisti e imprese in una giungla di interpretazioni. In parallelo, la sperimentazione del silenzio assenso digitale in settori chiave, dall’edilizia all’avvio di attività commerciali, rappresenta una svolta culturale prima ancora che burocratica: lo Stato si impegna a non essere più un freno, ma un facilitatore. Un capitolo rilevante riguarda anche i rapporti con il mondo produttivo con cui è stato avviato un confronto permanente attraverso iniziative concrete, tra queste: il percorso “Facciamo semplice l’Italia”, che sta attraversando tutte le Regioni, e la consultazione “La tua voce conta”, conclusa a fine settembre, che ha raccolto 600 segnalazioni provenienti da cittadini, dipendenti pubblici e imprese sui nodi da sciogliere. Da ultimo, il portale “Italia semplice” (italiasemplice.gov.it) permette ai cittadini di conoscere in modo chiaro e immediato quali procedure sono state semplificate. La cultura amministrativa italiana, storicamente appesantita da controlli formali e procedure ridondanti, necessita di un cambiamento di mentalità, oltre che di strumenti normativi. La direzione imboccata dal ministro per la Pubblica amministrazione è quella giusta: meno carte, più servizi digitali, regole più semplici. In un Paese che ha sempre sofferto di ipertrofia legislativa, per la prima volta, sono state messe a terra iniziative e progetti che permettono agli utenti, cittadini e imprese, di usufruire dei servizi pubblici in modo efficace e rapido, senza più affrontare un percorso a ostacoli. •

Biografia

Il senatore Paolo Zangrillo, ministro per la Pubblica amministrazione, si laurea in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Milano nel 1987. Inizia la sua carriera aziendale nello stesso anno presso la Magneti Marelli, multinazionale italiana operante nell'industria automobilistica, ricoprendo posizioni di vertice nell’ambito delle risorse umane dal 1992 al 2005. Nel corso della sua carriera ha rivestito incarichi manageriali Hr presso Teksid (Gruppo Fiat), Fiat Powertrain Technologies (poi Fiat Chrysler), come vicepresidente, e Iveco. Nel 2011 è diventato direttore Personale e Organizzazione di Acea, ricomprendo l’incarico fino al 2017. Eletto con Forza Italia alla Camera dei deputati nel 2018, è stato membro della Commissione Lavoro nella XVIII legislatura, ricoprendo l'incarico di Capogruppo del partito. Dal 2018 è Commissario regionale di Forza Italia in Piemonte e pro tempore in Valle d'Aosta. Eletto con Forza Italia al Senato della Repubblica alle politiche 2022 nel collegio uninominale Piemonte 04 (Alessandria). Il 22 ottobre 2022 presta giuramento davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e diviene ministro per la Pubblica amministrazione nel governo Meloni.

la presentazione

La nuova veste grafica di AnceMag, presentata a Città nel futuro 2030-2050

A circa due anni dal lancio, partito con il numero Zero nel dicembre 2023, AnceMag si rinnova e cambia volto, sempre nel solco dell’impegno volto a raccontare le sfide del settore edile e le trasformazioni dei territori. È stata presentata, durante la tre giorni romana di “Città nel futuro 2030-2050”, la nuova veste grafica del magazine associativo che propone bimestralmente contenuti ad alto valore aggiunto valorizzando il ruolo del sistema associativo e della filiera. Sempre disponibile in formato cartaceo e digitale (su www.ance.it), la rivista, a partire dall’esperienza acquisita, si ristruttura con più interviste, più attualità e più approfondimenti, rivolgendo un’attenzione specifica alle territoriali e agli organismi regionali Ance e ai temi che toccano da vicino il settore delle costruzioni e le comunità. Forte di una redazione con tante firme del mondo del giornalismo italiano, il magazine cambia pelle proponendo ai lettori un nuovo modo di parlare di costruzioni, città e futuro, mantenendo al centro i valori dell’Associazione. Con un restyling grafico e tanti articoli redatti da voci e penne prestigiose, la rivista raccoglie in una cornice e con uno stile diretto e dinamico, proposte, idee, posizioni e commenti sugli argomenti ‘caldi’ che riguardano il costruito e i territori, ponendosi come strumento efficace di approfondimento e comunicazione. Diffondendo e rafforzando l’autorevole voce di Ance sui temi di maggior interesse per il settore, attraverso uno strumento di informazione aperto a tutti – imprese, professionisti, istituzioni, stakeholder e cittadini – il magazine affianca alle tematiche che giocano un ruolo decisivo nell’evoluzione del settore e dell’economia reale le esperienze e le notizie che emergono dall’intenso lavoro associativo sui territori, raccogliendo le testimonianze e le attività del sistema Ance in spazi aggiuntivi dedicati. A raccontare il cammino che ha portato al rinnovato progetto editoriale, la presidente dell’Ance Federica Brancaccio, il direttore responsabile Adriano Baffelli, con Ginevra Sotirovic, direttore editoriale e il coordinatore di redazione Antonio Troise. “Il risultato ottenuto è frutto di un intenso lavoro – precisa la presidente – che ha fatto tesoro dell’esperienza acquisita con il primo anno di uscite per strutturare una rinnovata proposta editoriale di approfondimento e comunicazione capace di riflettere trasformazioni, esigenze e richieste di un settore chiave per la nostra economia. Un settore che, in profondo mutamento sotto la spinta di stimoli lanciati da nuove tecnologie e nuove responsabilità, può trovare nel magazine un supporto per l’aggiornamento costante sui temi che lo riguardano e che incidono fortemente sul futuro dei territori e delle città”. “Le nuove proposte di contenuti e le rinnovate rubriche – chiarisce il direttore responsabile Baffelli – volgono lo sguardo ai due anni di pubblicazioni con la volontà di consolidare il percorso intrapreso per renderlo ancora più coinvolgente e partecipato, grazie all’apertura alle realtà territoriali e regionali del dinamico Sistema Ance”. Aggiunge Sotirovic: “I contenuti di alto profilo proposti nella rivista valorizzano un settore strategico e trovano nella testata un collettore condiviso di idee, opinioni, valutazioni preziose per affrontare le sfide che la filiera delle costruzioni dovrà affrontare nei prossimi anni”. Dalle novità legislative alla qualificazione delle imprese, dalla rigenerazione urbana alla chiusura del Pnrr, dall’emergenza Casa alla direttiva Case Green, dall’influenza delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale alle sfide per la sostenibilità e la messa in sicurezza dei territori. Temi trasversali, che impattano tanto sulle imprese quanto sulle decisioni politico-amministrative e le comunità. Spazio dunque ai temi principali che riguardano il costruito a livello nazionale, con un respiro macro alle dinamiche internazionali e con un’attenzione specifica alle peculiarità dei singoli comuni, province e regioni italiani. “Con i contributi di colleghi giornalisti – chiude Antonio Troise – riflessioni e commenti sulla società moderna e i suoi cambiamenti, la loro influenza sul settore e la stretta correlazione tra economia e comunità vengono proposte con sapiente professionalità”. •

Il progetto

Dare voce ai territori

Il rinnovato magazine dedica spazio alle Ance territoriali che, con la loro capillarità a livello locale, rispondono alle esigenze specifiche delle imprese del settore nella loro area, così come agli organismi regionali che coordinano le attività delle associazioni territoriali all'interno della stessa regione. La loro operatività convergerà all’interno del bimestrale affiancandosi ai temi di maggior rilievo a livello nazionale, affidati alla penna di riconosciuti professionisti. AnceMag diventa così voce dell’attualità e insieme del sistema associativo, un supporto di informazione e canale di notizie per le territoriali stesse e per le imprese e gli stakeholder ai quali si rivolgono.

opere pubbliche

Il convegno annuale a Roma

Un momento del convegno promosso da Ance, al quale hanno preso parte rappresentanti del Governo, delle Istituzioni e del mondo imprenditoriale per confrontarsi sulle principali sfide del settore dei Lavori Pubblici

Cosa fare per non arrestare la crescita? In che modo evitare di disperdere l’eredità del Pnrr? E, soprattutto, in che modo la programmazione degli investimenti in un mercato delle opere pubbliche aperto e competitivo può contribuire ad evitare un pericoloso ritorno al passato? È attorno a questi temi che si è sviluppato il convegno annuale organizzato dall’Ance, nella sua sede nazionale in Via Guattani a Roma, con un titolo sintetico ma fortemente evocativo: “Obiettivo Domani”. I lavori sono stati aperti dal sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che ha riconosciuto il contributo “importantissimo” che le imprese del settore “stanno dando alla trasformazione e rigenerazione della città”. Ma al centro del convegno, al quale hanno partecipato esponenti delle istituzioni, della politica, giuristi ed esperti, c’è stato anche uno dei temi più caldi sul fronte delle costruzioni, quello del caro-materiali, che riguarda il 70% dei cantieri delle opere in corso (di cui un terzo per il Pnrr) che devono fare i conti con aumenti dei prezzi che vanno dal 30 fino, in alcuni casi, al 65%. “Le imprese devono ancora ricevere circa 1,7 miliardi di euro già certificati relativi all’ultimo trimestre 2024 e ai primi 5 mesi del 2025. Rispetto alle risorse stanziate, secondo i dati del ministero delle Infrastrutture, per coprire il caro materiali del 2024 e di tutto il 2025 mancano all’appello 2,265 miliardi”, spiega in apertura del convegno la presidente dell’Ance Federica Brancaccio ricordando, inoltre, che “la crescita del Paese è fortemente condizionata dal completamento delle opere del Pnrr, che per il 50% attiene al nostro settore. Se l’edilizia rallenta o si ferma, il Paese non cresce”. C’è la necessità di rifinanziare “a misura del mercato i costi di realizzazione delle opere appaltate negli anni passati, che sono tuttora in esecuzione – ha sottolineato il vicepresidente di Ance Luigi Schiavo -. In molti casi i prezzi risultano ancora superiori del 30-40% rispetto a quelli di aggiudicazione. Si tratta di lavori che in assenza di interventi mirati rischiano di ritrovarsi in un vuoto di tutela”. Altro grande tema di discussione, quello della concorrenza negli appalti pubblici. Nel 2024 sono stati registrati circa 62.000 appalti di lavori pubblici per un valore di quasi 61 miliardi di euro. ​Il  90% degli appalti è stato assegnato senza un reale confronto concorrenziale per un valore di quasi 20 miliardi: il 52,4% tramite affidamenti diretti e il 35,2% con procedura negoziata senza bando. Solo il 7,8% degli appalti ha seguito una procedura aperta, evidenziando una limitata competizione nel settore. Un argomento affrontato dal presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, che ha sottolineato l’attività di “vigilanza collaborativa” della sua authority, evidenziando anche la necessità di utilizzare i prossimi mesi per “preparare un ecosistema in grado di guardare oltre al Pnrr”. Un orizzonte tracciato anche da Carlo Deodato, segretario generale presidenza Consiglio dei ministri, che ha ricordato l’importanza del capitolo del Pnrr dedicato alla riforma degli appalti pubblici. A concludere la prima parte del convegno l’intervento del viceministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi, che ha sottolineato l’importanza dell’esperienza del Pnrr anche nella definizione del nuovo codice degli appalti. “L’edilizia usciva da un stagione di grande crisi e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha consentito al settore di superare l’emergenza. Ma non si può pensare che dal 2027 finisca tutto. Anche dopo il Pnrr dovremo puntare a realizzare ponti, strade e ferrovie…”.Alla prima parte del convegno hanno partecipato, tra gli altri, anche Luigi Carbone, Presidente IV Sezione Consiglio di Stato, Massimo Sessa, Presidente Consiglio Superiore Lavori Pubblici, Paolo Grasso e Elena Griglio, rispettivamente Capo di Gabinetto del Vicepremier Salvini e Capo Ufficio legislativo del Mit, e i parlamentari Erica Mazzetti, (FI), Massimo Milani (Fdi), Tilde Minasi (Lega), Marco Simiani (Pd) e Agostino Santillo (M5S). Non meno interessante il dibattito pomeridiano, centrato soprattutto sui temi della concorrenza. Che presuppone, ha spiegato Carlo Stagnaro, regole “eque per tutti”. Per il professor di Tor Vergata, Arturo Cancrini, “non è corretto che le imprese continuino a operare finanziando le opere pubbliche”, in particolare per quanto riguarda i meccanismi di aggiornamento dei prezzi dei materiali, dove ci sono evidenti contraddizioni, o nel settore dell’In House. Una linea condivisa anche dal professor Francesco Sciaudone, per il quale occorre evitare la mancanza di certezze sulle regole del gioco. Aldo Isi, amministratore delegato di Rfi, ha voluto tranquillizzare le imprese sul fronte dei pagamenti sottolineando anche il ruolo che deve essere esercitato dalla stazione appaltante. Al dibattito hanno partecipato, tra gli altri, Francesco Anglani, Avvocato partner BonelliErede, Vito Meli, Responsabile Dipartimento concorrenza Agcm, Vincenzo Nunziata, Presidente Aeroporti di Roma, Raffaella Paita, Presidente Gruppo Italia Viva Senato della Repubblica, Aristide Police, Professore Università Luiss e avvocato Police & Partners, Anna Romano, Professore e avvocato name partner Satta Romano & Associati. •

Le proposte

Nel corso del convegno annuale sulle Opere Pubbliche l’Ance ha messo nero su bianco le sue proposte.

1

Stabilizzare fino alla fine dei lavori il meccanismo previsto per fronteggiare il caro-materiali chiarendo che non possono complessivamente determinarsi importi “in diminuzione” rispetto ai prezzi di aggiudicazione.

2

Superare la totale esenzione dell’obbligo di esternalizzazione per i concessionari operanti nei settori speciali fissando una quota minima analoga a quella prevista per i settori ordinari. Solo così si potrà coniugare efficacia del processo e concorrenza leale, favorendo un mercato più trasparente, inclusivo e competitivo, nell’interesse dell’intero comparto e del Paese.

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Attualizzare l’incidenza percentuale delle spese generali, ferma da oltre 40 anni, in ragione dell’incremento dei costi non produttivi e ai maggiori oneri posti a carico degli appaltatori nel tempo; garantire la reale aderenza dei prezzari ai valori di mercato, anche attraverso un prezzario nazionale, che salvaguardi le peculiarità territoriali, attivando il tavolo di confronto presso il Mit, sotto il coordinamento del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici; vietare la richiesta di opere aggiuntive in sede di offerta economicamente più vantaggiosa anche quando l’appalto è su Pfte.

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Porre regole e limiti effettivi al cosiddetto ”all in house” e, infine, intervenire sul Cct, l’istituto fondamentale per la corretta esecuzione delle opere al fine di efficientarlo ancora di più. Fermare la tentazione di ritornare alle “partecipazioni statali”, per superare eventuali criticità momentanee. Ognuno faccia il proprio mestiere: lo Stato deve fare il committente, gli operatori economici devono fare impresa e realizzare le opere.

politiche fiscali

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge di Bilancio per il 2026, l’Ance ha incontrato il Viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, per illustrare le proposte fiscali dell’Associazione che, nell’ambito di un ampio piano casa, puntano a rispondere alla crisi abitativa, al centro dell’agenda di Governo. •

Il disegno di legge di Bilancio per il 2026 si inserisce in un quadro di risorse limitate, circa 18 miliardi di euro, ed è incentrata sulla riduzione della pressione fiscale del ceto medio con misure specifiche per le famiglie. Quindi una prima valutazione delle misure contenute nel disegno di legge per le imprese di costruzione deve tener conto dei vincoli di Bilancio. Ciononostante, l’auspicio è quello di poter contare, in sede di esame parlamentare, su un confronto con la politica e le istituzioni a sostegno delle istanze del settore, quanto meno su temi prioritari centrali come la rigenerazione urbana e il Piano Casa.

Ad un primo esame delle norme fiscali contenute nel testo trasmesso al Senato, posso dire che condividiamo la proroga al 2026 dei principali bonus edilizi 50% per gli interventi sull’abitazione principale. Il rinnovo è opportuno perché consente il proseguimento degli interventi già avviati nel rispetto dell’esigenza di progettualità e buona fede di contribuenti; d’altro canto va detto che la misura non risponde pienamente agli obiettivi green impostici dall’Europa. L’assenza di una prospettiva stabile e pluriennale limita la capacità di programmazione delle imprese e frena gli investimenti più incisivi. Siamo ancora lontani dalla programmazione di politiche fiscali strutturate ed incentivanti che guardino in prospettiva agli obiettivi europei e ci aspettiamo un confronto costruttivo per arrivare a definire uno strumento, anche di natura fiscale, che possa avere un ruolo importante nella realizzazione dei processi di transizione ecologica.

Consideriamo, invece, davvero molto critico il divieto di compensazione dei crediti d’imposta – diversi da quelli derivanti dalla liquidazione delle imposte – con i debiti contributivi e Inail. Questa limitazione è contraddittoria rispetto alla permanenza di incentivi basati sui crediti d’imposta, come la Zes Unica per il Mezzogiorno, ma soprattutto, questo è l’aspetto più grave, rischia di penalizzare in maniera pesante i settori ad alta intensità di manodopera, che fanno maggiore ricorso alla compensazione per i versamenti previdenziali e assicurativi. C’è un tema di tutela della buona fede, considerato che la misura ha un effetto retroattivo e va a colpire tutte quelle imprese che hanno scelto di non cedere i propri crediti, confidando nella possibilità di utilizzarli in compensazione. Il rischio è quello di provocare un impatto economico e finanziario pesante per le imprese, con una riduzione della liquidità disponibile e un conseguente indebolimento della capacità di investimento, soprattutto nei settori produttivi a più alta intensità di lavoro.

Ci sono molti argomenti che ci vedono impegnati in prima linea che, però, questo disegno di legge lascia del tutto aperti; penso alla questione dell’housing accessibile e alla rigenerazione urbana. Su entrambi i temi auspichiamo di poterci confrontare con le forze di governo nel corso del dibattito parlamentare per illustrare i nostri piani al riguardo.

Occorrono misure fiscali ad impatto immediato sia sul tema della rigenerazione urbana che sull’accesso al “bene casa”, da tutelare non solo per la sua valenza sociale, ma anche in un’ottica di transizione ecologica.

Per realizzare progetti complessi di rigenerazione diventa importante riaprire i termini di vigenza, quantomeno fino a tutto il 2028, degli incentivi alla valorizzazione edilizia che in passato hanno consentito l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa  – 200 euro ciascuna, e non il 9% del valore dell’immobile – per l’acquisto, da parte di imprese di costruzioni e operatori immobiliari, di fabbricati da rinnovare completamente in chiave energetica ed antisismica per destinarli alla successiva vendita. Allo stesso modo, per favorire l’attività di locazione, sarebbe opportuno intervenire sull’imposta di registro per ridurre l’aliquota dal 9% al 2% sugli acquisti di immobili residenziali effettuati da imprese di costruzione o operatori del settore immobiliare da destinare alla locazione abitativa.

È necessario, poi, favorire prodotti immobiliari green incentivando la domanda di edifici riqualificati e performanti e, per questo, credo che sarebbe opportuno reintrodurre la detrazione Irpef pari al 50% dell’Iva pagata in sede di acquisto di case in classe energetica elevata (scaduta a fine 2023).

Sul tema dell’accesso alla casa, il disegno di legge consente di utilizzare parte delle risorse del Fondo Sociale per il Clima (7 miliardi di fondi europei assegnati all’Italia) per finanziare misure e investimenti volti ad aumentare l’efficienza energetica degli edifici e la ristrutturazione degli edifici, ma serve un piano strutturato. In via immediata sarebbe opportuno, almeno, agevolare i giovani nell’accesso alla proprietà abitativa, riproponendo gli incentivi fiscali per gli under 36 che acquistano l’abitazione principale.

Ma in linea generale occorre agire per ampliare l’offerta abitativa, sia per la locazione che per la vendita, e questo può avvenire solo agendo sulla fiscalità delle imprese che fanno locazione e che oggi sono penalizzate da un sistema fiscale che, per come è impostato, favorisce l’offerta privata a discapito di quella “professionale”. Penso ad esempio alla possibilità di considerare fiscalmente “strumentali” i beni locati dalle imprese di costruzione o alla possibilità di consentire agli operatori immobiliari di applicare l’Iva sulle proprie operazioni. Ma tutte queste misure fanno parte di un piano per la casa accessibile più ampio che ci auguriamo possa essere oggetto di un futuro confronto.

*Vicepresidente Economico Fiscale Tributario, Ance

Ance Giovani

Scatto di gruppo al XXV Convegno Nazionale dei Giovani Imprenditori Ance, tenutosi a Sorrento il 31 ottobre

Pubblichiamo la relazione della presidente Angelica Krystle Donati al XXV convegno dei Giovani Imprenditori dell’Ance che si è svolto a Sorrento il 31 ottobre scorso.

Questo Convegno ha per me un significato particolare e, se devo essere totalmente onesta con voi, mi emoziona molto: è l’ultimo della mia presidenza. Un viaggio che è iniziato alla fine del 2021… da allora sono successe talmente tante cose che sembra una vita fa. Ed è proprio per questo che con voi vorrei tornare lì, a quando tutto è cominciato. Perché, come abbiamo più volte detto nel corso di questi anni, per sapere dove andare, devi conoscere ciò che hai fatto. È il 15 dicembre 2021. Vengo eletta Presidente di Ance Giovani. Siamo nel pieno della pandemia, instabilità e incertezza sono le parole d’ordine. Il clima del Paese è tutt’altro che positivo. E cosa facciamo noi? Ci rimbocchiamo le maniche, non smettiamo mai di credere, sognare, proporre. Anzi, proprio in quel contesto scegliamo di guardare avanti. Novembre 2022, a non molti chilometri da qua, Positano. È il primo convegno da Presidente dopo un anno, ammettiamolo, davvero difficile. Lo intitoliamo “Costruttivi” e ci interroghiamo su due grandi domande: «Quale sarà l’Italia dopo il Pnrr? Quali riforme devono essere compiute per non perdere l’occasione di crescere anche oltre il 2026?». Da allora ad oggi, il Pnrr ci continua ad accompagnare… ma su questo torneremo più avanti. Un anno dopo, novembre 2023, Roma. Parole d’ordine “Competenti e sostenibili”. Dico che abbiamo bisogno di investire nelle persone, nei giovani, nelle competenze. Abbiamo di fronte una grande sfida: costruire un’edilizia più moderna, più giusta, più attrattiva. Per affrontare la transizione ecologica e digitale c’è bisogno di attrarre giovani, donne, nuovi talenti. Quelle parole, oggi, risuonano con ancora più forza, perché la carenza di competenze è esplosa. Ma, anche qui, ci arriviamo. Novembre 2024, di nuovo Roma. Ci diciamo che è il momento di “Partire”. Il sistema produttivo italiano e il nostro settore si devono adattare a vivere in un mondo dove l’incertezza è l’unica certezza: dalla pandemia alle crisi geopolitiche, dall’instabilità dei mercati alla rivoluzione delle priorità. Dobbiamo essere in grado di cambiare pelle per costruire il futuro che vogliamo. Questi sono stati i momenti che hanno scandito gli ultimi 4 anni. Ma tante sono state anche le sfide. Molte ci accompagnano ancora oggi e saranno decisive per tracciare la rotta per il nostro futuro. Partiamo dalla formazione e promozione del capitale umano. Lo abbiamo detto in varie occasioni: senza nuove competenze non c’è futuro per il nostro settore. Nei prossimi anni nel comparto delle costruzioni serviranno circa 210mila nuove risorse. È un numero straordinario che ci pone una domanda drammatica: dove troveremo queste persone? L’unico modo per contrastare l’invecchiamento del nostro settore, dove l’età media dei lavoratori supera i 50 anni, è investire in formazione, inclusione, immigrazione virtuosa. Vanno intercettati i Neet, che seppure in diminuzione restano sempre troppo numerosi. Istituzioni ed imprese devono lavorare insieme per colmare il divario tra offerta formativa e domanda lavorativa, anche con il coinvolgimento di Its e scuole edili. C’è un altro dato che non posso non ribadire oggi: la presenza delle donne nel settore delle costruzioni è inferiore al 10%. I dati sulla formazione erogata dal Formedil mostrano una presenza femminile in costante aumento, con un +10% di allieve su base annua. Questo seppur tiepido segnale positivo deve essere stimolo per fare di più. Ma, l’obiettivo di promuovere la crescita dell’occupazione femminile non deve venire perseguito dal Legislatore senza tenere conto delle specificità del settore delle costruzioni. Per esempio, l’obbligo per gli operatori economici negli appalti pubblici di riservare almeno il 30% delle nuove assunzioni per l’esecuzione del contratto o delle attività connesse all’occupazione femminile e giovanile è un approccio punitivo che nulla fa per aumentare il numero di donne nel comparto. Servono invece misure più forti di welfare familiare, per non costringere le donne a dover scegliere tra carriera e maternità. Serve un approccio formativo e di orientamento che incoraggi le donne a intraprendere una carriera nel settore edile, cogliendo le opportunità che derivano dai processi di innovazione e industrializzazione, decisivi nel supportare l’inclusione.  Serve una premialità per le imprese virtuose. Noi imprese, invece, dobbiamo creare ambienti di lavoro sempre più inclusivi, garantire pari opportunità, superare il gender pay gap. Manca all’appello un pacchetto di misure pensate per chi fa impresa da giovane nel nostro settore. Le politiche generali aiutano, ma servono strumenti più mirati: agevolazioni fiscali nei primi anni, fondi di garanzia per l’accesso al credito, incentivi per startup proptech e soluzioni green. Non chiediamo corsie preferenziali, ma un riconoscimento concreto al valore del ricambio generazionale. Il Pnrr è stato un tema centrale per tutto il nostro mandato e ha dato una spinta decisiva all’economia ed al settore. Oggi, dobbiamo chiederci quale sarà il dopo: quando le risorse europee si esauriranno, non potremo semplicemente “resettare”, ma dovremo continuare a costruire, mantenere e rigenerare con una visione di lungo periodo. È il momento di “tracciare la rotta per il futuro”, con una programmazione strategica degli interventi. Le imprese non chiedono scorciatoie, ma certezze e tempi chiari. Solo con fiducia reciproca e responsabilità condivisa potremo consolidare l’esperienza del Pnrr, trasformandola in un metodo ordinario di sviluppo per una stagione di crescita stabile e sostenibile per il Paese. Una grande fragilità riguarda la copertura finanziaria degli extracosti. Oggi, secondo le stime dell’Ance, mancano all’appello circa 2,5 miliardi di euro di compensazioni per il caro materiali su lavori già eseguiti. Manca anche l’essenziale proroga per il 2026. I cantieri, Pnrr e non, hanno continuato a lavorare grazie alla capacità delle imprese di anticipare liquidità, ma siamo arrivati a un punto critico: senza nuovi fondi, e regole certe, si rischiano il blocco dei cantieri ed innumerevoli fallimenti. Pensando al futuro del settore, voglio ribadire un punto. Dopo la fine del Pnrr, sarà essenziale coinvolgere il capitale privato, rendendo più snello e trasparente lo strumento del partenariato pubblico-privato e in particolare della finanza di progetto. Bene, nei Ppp devono trovare spazio anche le imprese giovani. Ci sono esempi virtuosi già in atto. Ora bisogna moltiplicarli. Continueremo a chiedere che nei bandi futuri ci sia spazio per le Pmi giovanili. Spesso, le idee migliori arrivano proprio da loro. Superbonus. Noi Giovani Ance ne abbiamo sostenuto gli obiettivi, ma abbiamo segnalato anche le distorsioni. Oggi però, la proroga solo per il 2026 dei bonus edilizi al 50% per l’abitazione principale, prevista nel disegno di legge di Bilancio 2026, pur se apprezzabile, appare del tutto insufficiente per raggiungere gli obiettivi impostici dall’Europa. Per restare sempre sul disegno di legge di Bilancio 2026 appare del tutto irrazionale il divieto di compensare i crediti di imposta con i contributi previdenziali e assicurativi, colpendo, con effetto retroattivo, soprattutto le imprese serie, che hanno fruito legittimamente di incentivi che la legge prevedeva come recuperabili solo in compensazione. Tra questi anche i crediti acquisiti con lo sconto in fattura. Quante imprese salteranno per questa assurda disposizione? Il nostro appello è che possa essere modificata nell’iter legis. Ne va del futuro di migliaia di aziende. Parliamo del nuovo Codice degli Appalti: il successivo “Correttivo” è intervenuto con un approccio che, condivisibilmente, non ne ha stravolto l’impianto generale, introducendo quegli aggiustamenti che l’esperienza applicativa ha reso necessari. Un approccio che ha garantito continuità e certezza agli operatori, evitando i rallentamenti che spesso accompagnano le riforme profonde. Le modifiche, comprese quelle più recenti apportate con il Dl Infrastrutture, sono frutto di un intenso processo di dialogo tra i principali attori coinvolti che ha visto l’Ance impegnata in prima linea. Restano però alcune criticità: pensiamo alla finanza di progetto, su cui la Commissione europea ha anche avviato una procedura di infrazione, la questione dei concessionari senza gara che continua a porre problemi di concorrenza e il tema del subappalto, soprattutto ai fini della qualificazione, che necessita ancora di equilibrio tra tutela delle Pmi e valorizzazione del ruolo dell’appaltatore. Nel complesso, il nuovo impianto normativo rappresenta un passo avanti importante verso un sistema più moderno e trasparente, ma la vera sfida sarà ora garantire l’effettiva applicazione delle regole e una reale semplificazione, affinché la riforma produca benefici concreti e a lungo termine per tutto il sistema produttivo. C’è poi il tema dell’abitare. Chiediamo da tempo un vero e proprio “Pnrr della casa” che affianchi all’housing sociale anche investimenti pubblico-privati su housing intermedio, studentati e senior living. Nel 2024 il tema casa è tornato al centro del dibattito politico: il Ministro Salvini ha convocato il Tavolo Casa e annunciato il Piano Casa Italia, con uno stanziamento iniziale di 660 milioni per rilanciare le politiche abitative. Con la manovra appena varata, il Governo ha accolto il suggerimento dell’Ance di destinare parte dei fondi europei del Fondo Sociale per il Clima, stimati in circa 3 miliardi di euro, a misure per la casa e il disagio abitativo. La direzione giusta che il nostro gruppo auspica: costruire per rigenerare. E a proposito di visione, c’è un tema che è passato in sordina, ma arriverà presto: la Direttiva europea Epbd sul rendimento energetico in edilizia. Entro maggio 2026 l’Italia dovrà adottare la propria legge nazionale applicativa. Come sistema Ance stiamo già lavorando a proposte concrete: servono pianificazione e metodo. Perché, se vogliamo evitare di rincorrere le emergenze, dobbiamo metterci davanti ai problemi. Infine, rimangono aperte due grandi partite: la rigenerazione urbana e la sfida dell’innovazione e della trasformazione digitale. Una delle nostre richieste storiche è l’adozione di una legge nazionale sulla rigenerazione urbana. Finalmente, in Parlamento è in corso l’esame di un disegno di legge che mira a normare tutti quegli interventi che trasformano e migliorano le nostre città senza consumare nuovo suolo. Data l’importanza che questa normativa riveste per il nostro Paese, auspichiamo che si arrivi alla definizione di una legge organica supportata da concreti incentivi urbanistici e fiscali, in quanto il nuovo testo, come depositato dal relatore lo scorso agosto, ha limitato alcuni aspetti. Sull’innovazione il mondo sta evolvendo ad un ritmo senza precedenti e il settore edile non può restare indietro. Digitalizzazione, Ia, automazione, economia circolare, decarbonizzazione sono i pilastri del nuovo modello industriale. L’Ia non deve spaventare: come dissi lo scorso anno, “innovazione e sostenibilità sono fondamentali per affrontare le sfide del futuro”, perché si declinano con tecnologie abilitanti di nuovi processi e nuove efficienze: le rivoluzioni green e digitale hanno il potenziale per creare milioni di posti di lavoro, anche per il nostro comparto. Siamo giunti quindi alla conclusione del mio intervento, e qui entra in gioco il titolo che abbiamo scelto per il Convegno: “FARO / FARÒ”. Vogliamo osare ed essere un faro per le nostre imprese, per i giovani del settore: un punto di riferimento che indica la rotta. “Farò”, invece, è il verbo del futuro, della progettualità, dell’azione. Noi siamo giovani – e, quindi, siamo naturalmente titolati a dire “farò”. Il futuro ci appartiene più che a chiunque altro, perché saremo noi a viverlo. E allora chiediamo di poterlo scrivere a modo nostro, con l’onore e l’onere che questo comporta. Voglio chiudere con una serie di principi, che spero possano essere faro per il futuro: Primo: pensiamo a lungo termine. Le scelte che facciamo oggi avranno conseguenze tra dieci, vent’anni. Non cediamo alla tentazione delle soluzioni facili e immediate. Secondo: siamo inclusivi. Facciamo spazio alle donne, ai giovani, a chi viene da percorsi diversi. La diversità è una risorsa. Terzo: innoviamo senza paura. Le tecnologie cambiano, i mercati evolvono, le esigenze si trasformano. Chi resta fermo è destinato a scomparire. Quarto: non dimentichiamo mai la sostenibilità. Non è un optional, non è una moda. È una responsabilità verso le generazioni future. Quinto: abbiamo coraggio. Il coraggio di rischiare, di sbagliare, di rialzarci. Ciascuno di noi, nel proprio quotidiano, nella propria azienda, può fare la differenza. Diciamolo forte: io farò la mia parte per città più giuste, per cantieri più sicuri, per imprese più forti. Noi faremo, insieme, da oggi, la nostra parte – istituzioni, imprese, giovani e senior, – per realizzare quei cambiamenti che sogniamo e costruire il futuro che vogliamo. Per me, personalmente, questo momento è carico di emozione. La fine della mia presidenza non è una chiusura, ma un punto di partenza per tutti noi. Grazie di cuore per avermi accompagnata in questo viaggio straordinario. Grazie per aver creduto nella forza dei giovani e per avermi dato fiducia come vostra presidente. E quindi voglio lasciarvi con un invito e un augurio: Continuiamo a dire, insieme, “io, farò”! Grazie, e buon Convegno a tutti! • Angelica Krystle Donati

2022

A Positano, al primo convegno in veste da presidente dopo un anno

2023

Il dibattito a Roma sulle parole d’ordine “Competenti e sostenibili”

2024

Di nuovo nella Capitale per sottolineare che è il momento di “Partire”

2025

A Sorrento per essere un “faro” e per impegnarsi a “fare”

Ecomondo e Saie

La Presidente Ance Federica Brancaccio al Saie Bari 2025

In autunno due manifestazioni fieristiche hanno segnato il panorama dell’edilizia e del costruito: Saie a Bari ed Ecomondo a Rimini. Al di là degli stand e dei numeri, 31.700 visitatori a Bari e circa 110mila a Rimini, ciò che traspare è una vivacità rinnovata della filiera delle costruzioni, segnata da una forte spinta verso la sostenibilità, l’innovazione digitale e nuove opportunità che sembrano aprirsi in modo significativo, soprattutto all’intersezione tra edilizia tradizionale e circolarità. Ad entrambi i saloni specializzati Ance era presente, così come la testata AnceMag, con uno stand e con iniziative di approfondimento ad elevato valore aggiunto. Ho visitato con interesse entrambe le fiere, con la volontà di consegnarvi alcune riflessioni. Possiamo anzitutto dire che il Saie ha visto il costruito porsi al centro del Sud. La quarta edizione di Saie Bari ha evidenziato con chiarezza un segnale: il mondo della costruzione nel Centro-Sud Italia, e non solo, sta respirando un’aria di rinascita. In questa edizione, i temi dominanti sono stati l’efficienza energetica, la digitalizzazione del processo edilizio, la sicurezza e la rigenerazione urbana. Tra gli elementi più significativi: il percorso tematico “Saie Sostenibilità” ha enfatizzato materiali ecosostenibili, benessere indoor/outdoor e la gestione del patrimonio edilizio esistente; un’area “Saie Innovazione” dedicata a Bim, intelligenza artificiale, macchine e attrezzature da cantiere, l’area “Saie InCalcestruzzo”, segnalata da un grande operatore del settore, che ha presentato micro-innovazioni nel comparto cementizio, pavimentazioni ad alte prestazioni, soluzioni integrate per la posa in opera. Saie Bari non si è limitata a mostrare le novità della fiera, ma ha fotografato uno stato della filiera che si sta riorientando: dall’edilizia tradizionale verso un modello che somma costruito, impianti, digitalizzazione, materiali performanti e rigenerazione. In particolare, mi ha colpito la centralità data alla rigenerazione urbana e alla filiera del restauro-riuso che appare sempre meno marginale e sempre più strategica. Ecomondo: quando l’edilizia guarda, anche, alla circolarità. Ospitata dall’Expo Centre di Rimini, la rassegna, ormai molto più di una fiera dell’ambiente, è un hub internazionale della transizione ecologica, che parla anche, e sempre più, alla filiera dell’edilizia. Quel che mi interessa evidenziare è l’opportunità che si apre per il mondo del costruito: l’evento ha posto la rigenerazione dei suoli e dei siti, “Sites & Soil Restoration”, come una macroarea, insieme ad acqua, agricoltura, monitoraggio, bio-energie. Questo fa capire che il “costruito” non è più solo muri e impianti, ma il contesto, il suolo, la circolarità dei materiali. Si pensi all’approfondimento andato in scena in riva all’Adriatico sulle nuove opportunità del riciclo del poliuretano, con un focus che coinvolge l’edilizia come settore d’impiego. Aggiungo, l’organizzazione della Fiera ha segnalato che le certificazioni volontarie (Epd, Envision, contenuto riciclato) diventano leve strategiche nei bandi pubblici ed entro i Cam (Criteri ambientali minimi) del settore costruzioni. Questo significa che l’edilizia entra sempre più nella sfera della economia circolare: non solo efficienza energetica e digitalizzazione, ma riuso delle materie, materiali da demolizione, scarti dell’edilizia valorizzati. Le certificazioni diventano un biglietto d’ingresso per partecipare ai bandi e per essere competitivi. Il fatto che a Ecomondo si sia parlato di questi strumenti significa che la transizione circolare sta permeando anche il costruito. Riprendendo lo specifico approfondimento del poliuretano, materiale spesso legato a prodotti isolanti, ma con complessità di gestione a fine vita, all’interno di un programma che ha riferimenti anche all’edilizia. Potrebbe sembrare un dettaglio tecnico, ma segnala che la filiera dei materiali da costruzione ha davanti a sé nuovi spazi operativi. La riflessione si presta a un confronto e a qualche chiave interpretativa: le due manifestazioni, pur con target diversi, Saie più orientata al costruito tradizionale, con edilizia e impianti, Ecomondo più verso la green economy e circolarità, offrono una lettura complementare della filiera dell’edilizia nell’attuale fase. La rassegna pugliese mostra che l’edilizia ha ancora la massa critica del costruito, dei materiali, dell’efficienza energetica, della digitalizzazione. È il mondo che costruisce, ristruttura, rende efficiente. La Fiera ospitata a Rimini suggerisce che questa stessa filiera deve fare i conti con materie prime, materiali riciclati, processi circolari, certificazioni e modelli di business che vanno oltre la tradizionale posa in opera. Una chiave per capire dove siamo: il costruito diventa un sistema integrato, edificio, impianto, dato digitale, materiale riciclato, ciclo di vita, e non più solo muri e tetto. Uno scenario non scevro da complessità, indubbiamente. Al contempo si aprono delle nuove opportunità per la filiera dell’edilizia. Le imprese che sanno abbracciare questa visione, materiali circolari, digitalizzazione, certificazioni, avranno un vantaggio competitivo: partecipare ai bandi, cogliere opportunità del Pnrr, della rigenerazione urbana, della decarbonizzazione. •

focus

Biennale Venezia

Il rapporto virtuoso fra uomo e macchina

Il vicepresidente Ance Carlo Trestini ha preso parte, lo scorso 5 novembre, al quarto incontro del ciclo promosso dal Construction Futures Research Lab, dedicato al tema “Il rapporto Uomo–Macchina” (Venezia, 19ª Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia)

Umanoidi sospesi nel vuoto che simulano lavori ad alta quota o che sono guidati da remoto per maneggiare sostanze pericolose, robot che preparano un cocktail perchè hanno imparato a eseguire procedure complesse e precise, mani metalliche che disegnano su tele bianche o che aiutano i lavoratori nelle prime fasi del cantiere. Con la premessa, condivisa da tutti gli esperti, che i robot non rimpiazzeranno gli uomini ma integreranno l’ambiente delle costruzioni, con robot e tipi di intelligenza diversi. Nella biennale di Architettura, nei lunghissimi corridoio di mattoni e rossi e colonne bianche dell’arsenale di Venezia, c’è stato un laboratorio “vivente” dove esplorare il nuovo rapporto fra uomo e macchina, un posto dove far dialogare le tre tipologie di intelligenza, artificiale, naturale e collettiva, dove la robotica può incontrare l’architettura e dove sono state messe a confronto culture e conoscenze diverse, in un’ottica tipicamente interdisciplinare. E il quarto appuntamento del ciclo di incontri di Construction Futures Research Lab, il progetto di ricerca sostenuto da Fondamentale (l’unione di dodici sigle che rappresenta i protagonisti del settore edile, imprese e sindacati dei lavoratori e realizzato con la collaborazione di alcuni prestigiosi atenei internazionali) ha voluto esplorare le molteplici dimensioni di una relazione, quella fra uomo e macchina, che avrà ricadute importanti anche nel settore delle costruzioni. Il tutto inserito nella cornice del Gens Public Programme della Biennale Architettura 2025, che intende indagare implicazioni, relazioni, opportunità e pericoli che i tre tipi di intelligenza (Naturale, Artificiale, Collettiva) hanno nel grande ambito del costruire, anche di fronte alle grandi sfide e ai potenziali cambiamenti che ci aspettano nell’immediato futuro.
Ad aprire l’incontro gli interventi di due membri dello studio Carlo Ratti Associati e la testimonianza di alcuni ricercatori che hanno lavorato con i tre progetti partecipanti alla Biennale Architettura 2025.
E’ toccato, poi, a Nicola Vitiello (Professore di Bioingegneria e Rettore dell’Università Sant’Anna di Pisa) esplorare la dimensione fisica della relazione uomo-macchina. Ma ci sono state anche le incursioni nella letteratura con Annalena Benini (Direttrice del Salone del Libro di Torino) e nella filosofia con Sebastiano Maffettone e Paolo Benanti (Presidente della Commissione AI per l’informazione) che hanno proposto una riflessione sul concetto di “democrazia tecnologica.
All’incontro ha partecipato per Ance il vicepresidente Carlo Trestini, che ha sottolineato come l’intelligenza artificiale possa essere importante per l’edilizia. “Ci sono stati anni in cui il comparto non è cresciuto tantissimo dal punto di vista delle innovazioni. Ma con l’Intelligenza artificiale e l’uso della robotica ci sarà un balzo avanti nei prossimi cinque anni”. L’impegno dell’Ance sarà di “rendere equo questo processo”. Altro campo di intervento importante sarà quello della sicurezza sul lavoro e della formazione. “Oggi tutto questo sta cambiando e le tecnologie ci aiuteranno a prevenire i rischi”. •

I vicepresidenti Ance Stefano Betti e Silvia Ricci alla 22° edizione di Urbanpromo – Progetti per il Paese (Firenze, 11-14 novembre)

Il pavimento realizzato con il legno di vecchie botti, le microalghe per assorbire anidride carbonica, la parte vegetativa dei funghi trasformata in mattoni per nuove costruzioni. Le soluzioni basate sulle capacità della natura di impattare positivamente sulla vivibilità dei centri urbani sono state al centro del convegno organizzato dall’Ance nell’ambito della 22esima edizione di Urbanpromo – Progetti per il Paese, la manifestazione promossa dall’Istituto Nazionale di Urbanistica e organizzata dalla società Urbit all’Innovation Center di Firenze. “Le Nature Based Solutions (Nbs) rappresentano un nuovo scenario per garantire la gestione resiliente delle città – dice in apertura dei lavori il presidente di Ance Toscana, Rossano Massai – Ma sono necessari finanziamenti stabili e continui, una semplificazione delle procedure amministrative, un rapporto più collaborativo con le sovrintendenze e l’avvio di un nuovo modello pubblico-privato”.
Il cambio di paradigma della progettazione urbana, che guarda al verde come a un asset strategico per la resilienza, è un processo già in atto. “Va, però, implementato”, spiega Stefano Betti, vicepresidente dell’Ance (Edilizia e Territorio): “Dobbiamo ragionare come costruttori del verde. Le Nbs sono già calate nei nostri progetti. Sono parte integrate dello sviluppo della città”.
Al dibattito sono intervenuti Cinzia Davoli del Servizio Sviluppo sostenibile della Città metropolitana di Milano, Giovanni Marinelli dell’Università Politecnica delle Marche e Angela Panza dell’Ordine degli architetti di Milano. Tutti d’accordo su un punto: il verde è un investimento ed ha i suoi costi, che devono essere messi in conto già nella fase della progettazione. Ma, un verde attrezzato ha la capacità di far salire, e non di poco, il valore immobiliare.
Altro momento importante dell’appuntamento fiorentino quello introdotto e moderato dalla vicepresidente dell’Ance (Transizione ecologica), Silvia Ricci: “Oggi possiamo toccare con mano soluzioni innovative frutto della ricerca accademica”. Come quelle illustrate da Andrea Grassi di Genius Loci Architettura (Gla), che, per la pavimentazione dell’Horto Restaurant, a Milano, ha recuperato il legno di vecchie botti di aceto e una miscelazione di lolla di riso e calce per insonorizzare gli ambienti. Dall’architetto Saverio Spadafora del Politecnico di Milano, invece, l’esperienza dell’uso del micelio, parte vegetativa dei funghi, che può essere trasformato in mattoni, pannelli, isolanti. •

le voci del territorio

Il progetto “Cantiere Impatto Sostenibile”, promosso da Assimpredil Ance, coinvolge oltre mille aziende in tutta Italia per diffondere una nuova cultura della costruzione basata su sostenibilità, legalità e responsabilità sociale

Ogni scelta, lungo tutta la catena dell’approvvigionamento, ha un impatto rilevante sulla qualità del costruito, sull’ambiente e sulle comunità

L’anno scorso l’Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) lo ha riconosciuto come una delle 125 “buone pratiche” italiane per un Paese più sostenibile. Oggi lo hanno adottato più di cento cantieri, con il coinvolgimento di oltre mille imprese, ma già tanti costruttori, da nord a sud dello Stivale, dalla Lombardia al Veneto, alla Sicilia, si dicono pronti a farlo. Stiamo parlando del “Cantiere impatto sostenibile”, il Codice di condotta volontario messo a punto da Assimpredil Ance, l’associazione delle imprese edili di Milano, Lodi e Monza Brianza aderente all’Ance nazionale, che punta a promuovere una gestione innovativa e sostenibile dell’edilizia. L’obiettivo è aiutare le aziende edili, anche di piccole e piccolissime dimensioni, ad integrare i principi Esg (ambientali, sociali e di governance) nel loro modello di business perché i loro cantieri possano generare davvero un impatto positivo per l’intera comunità.
Il Codice di condotta è il frutto di un’analisi, avviata nel 2021, di tutte le certificazioni, le prassi di riferimento e gli obblighi che oggi ruotano attorno alla realizzazione di un cantiere. Incrociando questi adempimenti con i 17 obiettivi per lo Sviluppo sostenibile fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è nata l’idea di creare un modello organizzativo pienamente Esg “compliant”, nel quale, cioè, si adottano comportamenti concreti e misurabili, mirati alla sostenibilità.
L’insieme di regole contemplate dal Cis ruota attorno a otto categorie di impegni: sostenibilità, decarbonizzazione (a partire dall’utilizzo delle energie pulite), tutela dell’ambiente (economia circolare, gestione degli scarti e trattamento dei materiali), legalità, dignità del lavoro, responsabilità, impegno sociale (impatto sulla collettività dentro e fuori del cantiere) e impegno verso la catena dei fornitori. Dal rispetto di queste indicazioni, la valutazione dell’impresa in termini di sostenibilità e il rilascio di un logo che ne certifica l’impegno profuso: argento per gli impegni base, oro per gli impegni di media complessità e platino per quelli più complessi.
Ogni impresa che aderisce a “Cantiere Impatto Sostenibile” si sottopone ai controlli di due organismi indipendenti: un primo comitato tecnico, composto da esperti del settore, che verifica il livello raggiunto, e un comitato di vigilanza e monitoraggio che garantisce controlli periodici nel tempo e, quindi, il mantenimento del logo.
Vincendo il bando “22IF Bando Filiere Produttive” della Regione Lombardia, Assimpredil Ance
ha già realizzato una piattaforma dedicata al Cis (cantiereimpattosostenibile.it) con strumenti operativi per le imprese, nella consapevolezza che la sostenibilità non è solo una questione ambientale, ma rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma nel modo di progettare e costruire. La sostenibilità, per Assimpredil come per tutto il sistema Ance, deve essere valutata sotto ogni componente: sostenibile è anche chi contrasta le infiltrazioni della criminalità organizzata, chi applica il giusto contratto di lavoro nel rispetto di una concorrenza corretta e leale, chi investe nella sicurezza del lavoro, chi ispira la gestione del capitale umano ai principi di equità ed inclusione. Ogni scelta, lungo tutta la catena dell’approvvigionamento, ha dunque un impatto rilevante sulla qualità del costruito, sull’ambiente e sulle comunità.
La definizione del Codice di condotta ha segnato anche l’avvio di un altro progetto giunto a compimento a luglio scorso: si tratta della UNI/PdR 178:2025, la prassi di riferimento (PdR), nata su iniziativa di Assimpredil Ance, (elaborata dal Tavolo di lavoro condotto dall’Ente italiano di Normazione e costituito, oltre che dagli esperti di Assimpredil Ance, anche da Ance, Ordine degli Architetti di Milano, Save the Planet onlus, Studio legale Valaguzza, Università degli Studi di Milano, Ance Treviso-Confindustria Veneto Est e Ance Bari), con l’obiettivo di accompagnare il settore delle costruzioni verso quella cultura della sostenibilità che, in accordo con l’Agenda 2030, è da intendersi nelle sue dimensioni ambientale, sociale ed economica.
I parametri della PdR ricalcano, non a caso, gli impegni del “Cantiere impatto sostenibile”, tant’è che Assimpredil Ance attesta ai soci che chiedono di aderire al Codice di condotta sia la conformità al Cis sia la conformità alla PdR.
L’adesione al Codice implica una scelta di miglioramento continuo per una reale transizione alla sostenibilità e sono allo studio ulteriori azioni di accompagnamento delle imprese, con strumenti formativi e anche operativi come manuali e software pensati e progettati per il cantiere. Alcuni nodi restano, però, da sciogliere, a partire dalle certificazioni: in questa prima fase applicativa della PdR si stanno definendo i percorsi più efficaci per l’asseverazione, valutando nel tempo anche possibili evoluzioni verso Enti Bilaterali o validazioni Soa. •

le voci del territorio

I partecipanti al seminario “Rigenerazione urbana come motore di sviluppo economico e coesione sociale”, promosso da Ance Calabria, con il patrocinio della Regione e il contributo scientifico di ABITAlab, laboratorio del Dipartimento di Architettura e Design (dAeD) dell’Università Mediterranea

Confronto a più voci per costruire un modello di sviluppo che tenga insieme innovazione, sostenibilità, inclusione e legalità

CATANZARO – La rigenerazione urbana non può essere intesa come una semplice operazione edilizia, ma come un processo complesso che rimette al centro la persona, la qualità dell’abitare e la coesione delle comunità, in una visione che integri crescita economica, sostenibilità ambientale e diritti sociali. Parte da questa riflessione, all’insegna del motto “Dare forma al domani, insieme” – che ha accompagnato la 23a European Week of Regions and Cities – #EURegionsWeek 2025, l’iniziativa organizzata nell’ambito della più importante manifestazione europea dedicata allo sviluppo territoriale sostenibile, approdata per la prima volta in Calabria grazie all’impegno di Ance Calabria, della Regione Calabria e dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
Il seminario “Rigenerazione urbana come motore di sviluppo economico e coesione sociale”, promosso da Ance Calabria con il patrocinio della Regione e il contributo scientifico di Abitalab, laboratorio di ricerca del Dipartimento Architettura e Design (dAeD) dell’Università Mediterranea, ha rappresentato un’occasione di confronto concreto in cui i territori sono diventati protagonisti del dibattito e, al centro della riflessione sulle politiche pubbliche, gli interlocutori hanno posto le persone e i bisogni della comunità.
Istituzioni, mondo accademico, imprese e professionisti si sono confrontati con l’obiettivo di individuare strategie condivise per costruire un modello di sviluppo che tenga insieme innovazione, sostenibilità, inclusione e legalità, mettendo al centro la persona e la qualità dell’abitare.
Non a caso, Michele Laganà, presidente di Ance Reggio Calabria, ha aperto i lavori citando Heidegger e puntando sul valore dell’azione collettiva: «Plasmare il futuro insieme significa concepire la città come un luogo vivo, in continua trasformazione, dove ciascun attore — pubblico o privato — contribuisce a dare forma a una visione comune. Rigenerare non è un verbo tecnico, ma un atto politico e culturale che rimette al centro la responsabilità condivisa verso il bene comune».
L’eurodeputata Giusi Princi ha posto l’accento sull’importanza del diritto alla casa come fulcro delle nuove politiche europee: «L’accessibilità abitativa è l’architrave della nuova politica di coesione. L’abitazione non deve essere solo uno spazio fisico, ma un luogo di inclusione e di comunità, dove si concretizza la giustizia sociale. Per questo, in sede europea, abbiamo previsto la possibilità di destinare fino al 15% delle risorse, in modo flessibile, alle politiche sociali e all’edilizia residenziale pubblica. Lo spazio urbano — ha aggiunto — deve tornare a essere il luogo in cui si costruiscono equità, dignità e partecipazione. E quando si parla di bisogni dei territori non devono esistere colori politici: deve prevalere un sano campanilismo, il colore del Mediterraneo, simbolo di appartenenza, dialogo e solidarietà».
Qual è il ruolo dell’università come motore di innovazione e ponte tra conoscenza e società? Lo spiega il prorettore alla Ricerca dell’Università Mediterranea, Massimo Lauria: «Questo tema può essere affrontato solo costruendo una rete di attori capaci di partecipare e condividere. La nostra università vuole essere una civic university, che mette a disposizione del territorio il sapere prodotto attraverso la ricerca per trasformarlo in valore sociale. La speranza progettuale è una dimensione collettiva: si alimenta solo se abbiamo, tutti insieme, una visione ottimistica e consapevole del futuro».
Per il presidente di Ance Calabria, Roberto Rugna, «il disegno di legge nazionale sulla rigenerazione urbana rappresenta un’occasione che non possiamo perdere: serve un quadro normativo organico, capace di coordinare Pnrr, fondi regionali e programmi europei, garantendo tempi certi e regole chiare. Solo così potremo passare dai progetti pilota alle politiche permanenti. E in questo percorso il social housing è la chiave per unire inclusione sociale, sostenibilità ambientale e rilancio economico: dare casa non significa soltanto costruire abitazioni, ma costruire comunità».
Ampio spazio è stato dedicato al contributo della professoressa Consuelo Nava, direttrice del Dipartimento Architettura e Design della Mediterranea e responsabile scientifica di Abitalab, che ha presentato le attività di ricerca legate alla Strategia Rekap, dedicata allo sviluppo di tecnologie adattive per la rigenerazione urbana in scenari di cambiamento climatico. «Lavoriamo per costruire un modello calabrese di sostenibilità urbana — ha spiegato Nava — fondato su competenze, relazioni e responsabilità condivise. La collaborazione con Ance e con le istituzioni regionali è per noi un esempio concreto di come la ricerca possa diventare politica pubblica, capace di incidere sui processi di trasformazione dei territori».
Il direttore generale di Ance, Romain Bocognani — dopo gli interventi del dirigente del Dipartimento Programmazione Unitaria della Regione Calabria, Felice Iracà, e del presidente di Unindustria Calabria, Aldo Ferrara — ha richiamato la necessità di una visione di lungo periodo: «Chi non guarda ai prossimi venti o trent’anni è fuori dai giochi. Le città del futuro devono essere progettate con un pensiero che superi la frammentazione attuale: oggi in Italia esistono oltre quaranta dipartimenti che si occupano di abitazione, e questo rallenta i processi decisionali. La nuova programmazione europea offre l’occasione per ridisegnare la politica di coesione, rendendola più integrata, flessibile e attenta ai bisogni dei territori».
Gli interrogativi non mancano: si può rendere attrattivo l’investimento in housing sociale? Come possono dialogare pubblico e privato in ambiti rigenerativi? Serve un’urbanistica quantica, capace di adattarsi, di intercettare le esigenze, di garantire stabilità e chiarezza. La Calabria può essere il luogo ideale per sperimentare nuovi modelli di innovazione urbanistica e amministrativa. •

le voci del territorio

L’assemblea elettiva di Federcostruzioni, la federazione di Confindustria per la filiera delle costruzioni, un settore che assomma 643 miliardi di valore della produzione e 3,3 milioni di addetti, ha eletto all’unanimità Emanuele Ferraloro Presidente per il prossimo quadriennio. AnceMag lo ha intervistato insieme con la past-president Paola Marone.

Quali sono stati i momenti più significativi del suo mandato?

Paola Marone: È stato un mandato in cui ho messo tutta la mia passione ed esperienza del mondo associativo.
La Federazione si è proposta come luogo di confronto e coordinamento tra attori industriali, scientifici e normativi, favorendo lo sviluppo sostenibile e competitivo del settore.
Insomma, un vero e proprio ponte strategico tra industria, professionisti, innovazione e istituzioni. Gli associati sono cresciuti da 12 a 17, rafforzando la rappresentanza di comparti chiave. La Federazione è diventata interlocutore attivo in commissioni tecniche parlamentari, cabine di regia normative, e consessi europei come l’Ectp.
Sono stati firmati protocolli con enti accademici, istituzioni e si è rafforzata la collaborazione con università e centri di ricerca. L’apertura internazionale e la partecipazione a progetti europei hanno portato Federcostruzioni a giocare un ruolo di primo piano nella definizione del futuro di un comparto fondamentale per l’economia del paese.

Nel 2024 la filiera delle costruzioni ha registrato un aumento di 156mila occupati, per un totale di 3,3 milioni di unità: è un risultato importante…

PM: La filiera delle costruzioni è la rappresentazione del processo costruttivo: progetto, realizzazione, impianti, materiali, tecnologie specialistiche e digitali che si trovano insieme, come sistema, in Federcostruzioni. Nell’ultimo Rapporto di Federcostruzioni, che ho presentato come ultimo atto del mio mandato come Presidente al Saie di Bari il 23 ottobre, viene evidenziato che la filiera ha generato un valore della produzione pari a 643 miliardi; è quindi parte importante dell’economia nazionale. Sempre nel Rapporto va però giustamente sottolineato il dato sull’occupazione: un aumento di 156.000 unità che portano a circa 3,3 milioni gli addetti delle costruzioni. Se pensiamo che il totale della forza lavoro in Italia è di circa 24,2 milioni abbiamo che quasi il 14% degli occupati è impegnato nelle costruzioni. È un risultato importante, ma anche una responsabilità per le imprese in termini di formazione, qualificazione e sicurezza. È sempre più difficile, infatti, trovare personale adeguato ai processi produttivi attuali che richiedono competenze sempre più avanzate e non solo ai livelli progettuali o ingegneristici ma anche a quelli più strettamente operativi.

Il 2026 sarà un anno importante anche perché dovrebbe chiudersi la lunga parentesi del Pnrr: che cosa succederà?

Emanuele Ferraloro: Il venir meno delle politiche espansive quali i bonus e in prospettiva prossima del Pnrr, che in un momento particolarmente difficile per l’economia nazionale, hanno contribuito al suo rilancio, dopo anni di sotto-investimenti pubblici nel patrimonio abitativo pubblico e privato e nelle infrastrutture preoccupa non poco le aziende della filiera. La situazione geopolitica globale e l’imposizione di limiti alla libera circolazione di beni e servizi ci impongono di alzare il livello delle nostre politiche, di guardare oltre il contingente e avere una visione di sistema; per questo prendo da Paola Marone il testimone di Presidente di Federcostruzioni ponendo al centro dell’azione l’ambiente costruito e l’edificio intesi come contenitore e contenuto: area urbana, involucro, impianti, materiali, progetto, design.
Se vogliamo proseguire sul sentiero di crescita è necessario mettere il sistema industriale al centro, puntando, con adeguato supporto, a un incremento di produttività, competitività, formazione, ricerca e intervenendo con urgenza sul costo dell’energia. Il tema dell’energia sarà al centro dell’Unione europea per il prossimo decennio e per questo serve un approccio diverso, occorre una visione di lungo periodo che metta insieme la ricerca sull’efficientamento e la sostituzione dei combustibili fossili con energia rinnovabile, puntando anche alle possibilità dell’energia nucleare di ultima generazione.
Sarebbe importante se dopo il 2026 il Paese non perdesse l’eredità di questi anni e riuscissimo a dare stabilità a un comparto che sta investendo in innovazione e sostenibilità e che tanto può fare per la crescita economica mettendo in piedi con una interlocuzione tra Istituzioni e comparto strumenti reali e lungimiranti di programmazione.
Occorre far leva su necessità e urgenze importanti del nostro Paese: una abitazione adeguata e dignitosa per le famiglie a medio-basso reddito (Piano casa); il completamento delle reti di infrastrutture fisiche e digitali; la gestione dei flussi di materie prime critiche; il supporto all’adeguamento tecnologico delle imprese; in una parola: una visione politica diversa che metta il sistema industriale delle costruzioni al centro dello sviluppo del Paese. Senza questa visione di sistema che coinvolga istituzioni ai vari livelli e tessuto economico e sociale si corre il rischio di “galleggiare” in una quotidianità che non ci porterà da nessuna parte.

In che maniera le transizioni green e digitale stanno influenzando lo sviluppo del settore? A che punto sono le imprese italiane?

E F: Nella filiera rappresentata da Federcostruzioni convivono comparti avanzati come quello della home automation e dell’elettronica gestionale applicata agli impianti e comparti meno avanzati come l’edilizia delle microimprese. Compito del sistema associativo è quello di aiutare a colmare questo gap offrendo servizi attraverso strutture dedicate come ad esempio i digital innovation hub che fanno riferimento a Confindustria e alla specifica rete europea. La transizione green è un tema trasversale che riguarda tutte le fasi dei processi produttivi e che le imprese del settore hanno ormai assunto in gran parte come modello di comportamento produttivo. Le norme di settore però, quando sono troppo rigide o omogenee per tutto il territorio europeo rischiano di avere un effetto contrario. Occorre quindi una flessibilità nell’attuazione degli obiettivi di decarbonizzazione europei e nell’applicabilità a situazioni disomogenee come, ad esempio, quelle derivanti dall’applicazione della Direttiva Epbd. La trasformazione del patrimonio edilizio nella prospettiva della transizione ambientale (il 73% degli edifici italiani rientra nelle classi E, F, G) deve essere realistica e tenere conto delle differenze climatiche, costruttive e storiche dei vari Paesi dell’UE e impegnare risorse adeguate in termini di agevolazioni e di incentivazioni sia per l’adeguamento dell’involucro che degli impianti tecnologici. Molto dipenderà, comunque, da come i singoli Stati membri decideranno di attuarla.

La sicurezza resta una priorità: che cosa si può fare per ridurre ancora di più il rischio di incidenti nel settore delle costruzioni?

P M: La sicurezza nei cantieri edili non può e non deve essere vista come un costo. Al contrario, rappresenta un investimento strategico, capace di generare valore concreto nel medio-lungo periodo: tutela dei lavoratori, continuità operativa, qualità delle opere e sostenibilità economica per le imprese. Occorre aumentare la consapevolezza della necessità del personale sull’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (Dpi). Troppo spesso, infatti, nei cantieri, nonostante vengano forniti, i lavoratori operano senza casco, imbracature, guanti o calzature antinfortunistiche, esponendosi a pericoli evitabili. Bisogna agire sui comportamenti: l’eccessiva familiarità con le mansioni, unita a una percezione errata del rischio, può generare una pericolosa confidenza che aumenta la probabilità di infortunio. La sicurezza, infatti, non deve mai essere data per scontata, neanche nei gesti più abituali.
Progetti come Si.S.Ca. (acronimo di Sistema di Sicurezza Cantieri edili), nei cantieri dell’area di Napoli (p.es. Metropolitana, galleria penisola sorrentina) hanno dimostrato come le nuove tecnologie siano in grado di monitorare in tempo reale la presenza dei Dpi, segnalando eventuali mancanze e contribuendo così a ridurre sensibilmente infortuni e fermi di cantiere.
Un investimento che, oltre a salvare vite, migliora l’efficienza e la competitività. Perno della sicurezza e della formazione in edilizia è il sistema paritetico, rappresentato a livello nazionale da Formedil– Ente Unico per la Formazione e Sicurezza in edilizia.

E F: molto si può fare con la formazione e adottando come imprese processi gestionali e attrezzature adeguate. Un cantiere è però un luogo dove ci sono situazioni e attrezzature che possono essere pericolose. Va aumentata la consapevolezza del personale, vanno utilizzate le nuove tecnologie per abbassare o eliminare i rischi; occorre poi sensibilizzare maggiormente tutti gli attori del settore sul problema della congruità dei costi legati alla sicurezza e combattuta la presenza di imprese che non hanno la sicurezza come priorità.
La sicurezza deve essere il maggior “assillo” delle imprese del settore. Non deve essere il timore dei controlli a guidare la gestione di un cantiere: gli operai, le maestranze tutte sono persone che, come imprenditori, troviamo vicini tutti i giorni: sono il vero patrimonio di un’impresa e come tale bisogna operare in modo da evitare ogni rischio.•

architettura

Fronte sud-est dell’edificio a sud del complesso, con ingresso al piano parcheggi interrato

Una delle corti interne agli edifici

Nel quartiere Vigentino, periferia Sud di Milano, sorge il complesso residenziale 5square, in un contesto eterogeneo caratterizzato dalla compresenza di insediamenti residenziali, produttivi e commerciali, nel punto in cui il Parco Agricolo Sud si addentra nel tessuto urbano. Il lotto, facilmente accessibile tramite la rete tramviaria, è situato in un’area in cui sono presenti numerosi spazi adibiti a verde pubblico attrezzato.
Il progetto nasce da un intervento di rigenerazione urbana che prevedeva il riuso e la rifunzionalizzazione di 5 edifici a corte preesistenti – costruiti negli anni ’90 con destinazione produttivo/terziaria mai entrati in funzione – al fine di realizzare un complesso di housing accessibile comprendente circa 450 alloggi in vendita e locazione convenzionata, integrato da servizi di prossimità (consultorio, poliambulatorio, spazi collettivi e una media superficie commerciale). I cinque edifici presentavano originariamente altezze variabili tra i tre e i quattro piani fuori terra, un corpo di collegamento tra gli edifici tre e quattro e un piano interrato comune all’intero complesso. Perfettamente conservati fino all’anno 2000, i fabbricati in realtà non sono mai stati utilizzati e nel 2011, quando sono stati interrotti i lavori avviati dalla precedente proprietà, gli immobili sono stati abbandonati e successivamente occupati abusivamente con conseguenti problemi di sicurezza pubblica.
La progettazione si è concentrata su una migliore connessione tra gli edifici, sulla diversificazione delle funzioni al piano terra, sull’organizzazione di una sequenza di corti aperte e chiuse e sul rapporto degli edifici con il sistema del verde, nonché sul ridisegno dell’involucro esterno e la riorganizzazione dei volumi in copertura. Tutti gli elementi non strutturali sono stati rimossi completamente eliminando le superfetazioni e spogliando gli edifici fino al loro stato originario di scheletri in cemento armato, la cui struttura è stata consolidata nelle parti soggette a deterioramento. Sono state create nuove superfici e uniformati i prospetti su via Antegnati, portando tutti i fabbricati a cinque piani fuori terra su tale fronte. Le scale esistenti sono state mantenute e i cavedi impiantistici integrati nei volumi preesistenti.
Il progetto prevede inoltre una duplice differenziazione percettiva tra il fronte su strada, verso la viabilità principale, più regolare e compatto, e gli affacci sulle corti interne, più articolati. Una nuova griglia modulare definisce il disegno di facciata, combinando parapetti, frangisole e tende a rullo “a farfalla”, che producono un effetto cangiante e dinamico in base alla luce e alle diverse stagioni.
Inoltre, l’uso del colore, articolato in una “palette” calibrata per differenziare le diverse componenti del progetto, conferisce identità all’intervento e ne definisce il carattere espressivo. Griglia e sistemi di schermatura sono caratterizzati da tonalità chiare, mentre cromie più scure definiscono i fondi delle logge, le pareti interne delle corti e i piani terra. Il fronte ovest si distingue per una tonalità verde chiara, mentre gli altri prospetti sono bianchi, con riprese in grigio scuro sugli affacci interni rivolti a sud, mentre i corpi scala sono intonacati e ripropongono i colori principali sottolineando la logica compositiva.
I primi due edifici a sud ospitano 160 appartamenti in vendita – dai mono ai quadrilocali – alcuni dei quali al piano terra con giardini privati. Gli altri tre edifici prevedono circa 300 alloggi in locazione, le cui superfici variano dai 40 mq dei monolocali agli 87 dei quadrilocali. Nel progetto è prevista la configurazione di due piani tipo per gli edifici in vendita e quelli in affitto, con alcune variazioni al piano terra che si configura come un grande ambiente urbano in cui si integrano spazi privati e pubblici, dedicati alla socialità, al tempo libero, al gioco e allo sport. Oltre agli alloggi con giardini privati nei primi due edifici, il secondo ospita servizi quali sala polivalente, portineria, spazi per il gestore sociale, palestra e un locale commerciale. Il terzo edificio, a servizio del complesso, accoglie un’area commerciale, un asilo e una panetteria, mentre nel quarto si trovano servizi alla persona, tra cui un consultorio familiare e un poliambulatorio. Il quinto edificio comprende alloggi in locazione, uno spazio living/polifunzionale e una CSS (Comunità Socio-Sanitaria). Un percorso pedonale interno connette gli edifici 2, 3, 4 e 5.
Le aree esterne, pensate in continuità con le funzioni al piano terra, valorizzano così il rapporto tra architettura e suolo. Il verde, più fitto a nord e a sud per garantire privacy e quiete, è caratterizzato da aiuole curvilinee con sedute integrate che, in un ricercato contrasto con la geometria delle facciate, esaltano il rigore della composizione. Lungo il perimetro e nella zona sud-est, una fascia di olmi campestri svolge la funzione di schermo visivo verso l’esterno, mentre le corti tra gli edifici sono differenziate mediante specie arboree diverse: olmi, frassini, tigli, ciliegi etc.
In linea con la vocazione storica del sito e integrando le strategie di sostenibilità già adottate nel progetto, Redo SGR introduce, per i residenti di 5Square, un modello innovativo di economia circolare che prevede la fornitura di arredi ed elettrodomestici a noleggio, anziché in vendita. L’installazione, la manutenzione e lo smaltimento sono affidati a operatori specializzati, mentre il produttore, riacquisendo i beni a fine contratto, ne assicura un riuso e un riciclo corretti. Il sistema consente un risparmio economico per gli inquilini, riducendo inoltre le emissioni di circa 370 kg CO2eq per appartamento all’anno.
5Square si configura così come un nuovo frammento di città, capace di restituire senso e qualità a un’area abbandonata, coniugando accessibilità abitativa, sostenibilità ambientale e una rinnovata relazione tra spazio costruito e paesaggio urbano. •

L’effetto dinamico conferito alla facciata a sud-ovest dalle tende a rullo ‘a farfalla

I cinque edifici visti da nord-est

gli architetti Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra

Cliente: REDO s.g.r. Società Benefit – Fondo Immobiliare di Lombardia Comparto Uno
Luogo: Milano, via Antegnati 7-9-11-13-15
Anno: 2017/2022
Programma: Residenziale, commerciale e servizi
Incarico BLV: Progetto architettonico (preliminare, definitivo), direzione artistica
Importo lavori: 39.000.000 €
Area d’intervento: 34.650 mq
Slp totale: 35.610 mq
Impresa costruttrice: CO.GE.VI. spa
Advisor tecnico sociale: Fondazione Housing Sociale
Consulenti smart: Planet Smart City

Barreca & La Varra
ha svolto l’incarico in ATI con
D&D s.r.l. (capogruppo): Progetto Architettonico Esecutivo (BIM), VVF, Cost Control e Computi, BIM Management, Sicurezza, DL architettonica e generale
ARCHING s.r.l.: Progetto Strutturale (BIM), DL strutture
ARIATTA Ingegneria dei Sistemi s.r.l.: Progetto Impiantistico Elettrico e Meccanico (BIM), DL impianti

Team BLV: Luca Sala, Chiara Capponi, Federico Bettin, Elisa Giannini, Margherita Napolitani, Simone Marelli, Luigi Tambuscio, Andi Driza
Crediti fotografie: Carola Merello

Maxxi

parola all'immagine

Il progetto del MAXXI ridefinisce il concetto di museo, trasformandolo in uno spazio dinamico e aperto. La complessità dei volumi, le linee curve e l’intreccio delle quote creano un percorso fluido e sempre mutevole, che invita a un’esperienza di visita libera e sorprendente. Configurandosi come un vero e proprio “innesto” nella città, il complesso si organizza secondo flussi e densità, più che attorno a punti fissi, assumendo un carattere poroso e immersivo. Il museo ha ospitato dal 7 al 9 ottobre la conferenza “Città nel futuro 2030–2050”, promossa da Ance e diretta da Francesco Rutelli. •

Committenza: Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Fondazione MAXXI, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

Progettazione Progettisti: Zaha Hadid e Patrik Schumacher Progettazione strutturale: SPC Studio Progettazione Croci

Stazione appaltante: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Direzione generale per l’edilizia statale e gli interventi speciali, Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna Contractor progetto esecutivo ed esecuzione - Consorzio MAXXI 2006 Capogruppo mandataria: ITALIANA COSTRUZIONI spa (Gruppo Navarra) Mandante: S.A.C. Società Appalti Costruzioni spa (Gruppo Cerasi)

Finanziamenti ex Legge 12 luglio 1999, n. 237 “Istituzione del Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e di nuovi musei, nonché modifiche alla normativa sui beni culturali ed interventi a favore delle attività culturali” Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero delle Infrastrutture, Arcus SpA

azimut

Ecco le città più intelligenti del pianeta

Da Zurigo a Oslo, da Dubai a Singapore: la Top 10 delle Smart City

Nella classifica delle dieci città più smart compaiono, in ordine, Zurigo, Oslo, Ginevra, Dubai, Abu Dhabi, Londra, Copenaghen, Canberra, Singapore e Losanna.

Le smart City rappresentano un mercato in costante crescita, in cui l’innovazione tecnologica si integra con i servizi e le infrastrutture urbane per migliorare in modo significativo la qualità della vita dei cittadini. La gestione intelligente delle risorse e delle infrastrutture costituisce la nuova frontiera dello sviluppo urbano che pone al centro la comunità e il benessere di chi abita questi spazi. In un simile contesto, un ruolo fondamentale spetta alla sostenibilità: grazie a soluzioni digitali, infatti, si punta a rendere le città più efficienti e vivibili. Reti di trasporto intelligenti, spazi pubblici sicuri, sistemi di illuminazione e riscaldamento degli spazi più funzionali, infrastrutture per la gestione ottimale dei rifiuti e un’amministrazione cittadina dinamica e pronta all’azione, sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a definire una città Smart. I dati delle Nazioni Unite sull’impatto dei centri urbani evidenziano chiaramente la necessità di un cambiamento di rotta. Ciò che emerge è che oggi le città, che occupano solo il 3% della superficie terrestre, sono responsabili del 75% dei consumi energetici e dei rifiuti prodotti a livello globale. Si comprende dunque l’importanza di orientare lo sviluppo urbano verso modelli più “intelligenti” e sostenibili, un traguardo che, non a caso, è stato inserito tra gli undici Sdg (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Non sorprende, quindi, che un numero sempre più elevato di città a livello globale stia provando a rinnovare il proprio volto e le proprie abitudini in nome del benessere collettivo. Per conoscere quali sono i servizi che offrono e quali fattori le distinguono, è possibile consultare le classifiche internazionali stilate e pubblicate con cadenza annuale. Tra le più autorevoli, figura lo Smart City Index dello Smart City Observatory. Complessivamente, lo studio mira a valutare il grado di intelligenza di una città, esaminando se e quanto il contesto urbano ricorre alla tecnologia per migliorare il benessere dei cittadini, intervenendo al contempo su quelli che sono gli aspetti negativi. Ambiente, qualità della vita e inclusività sono gli elementi al centro della valutazione. L’edizione 2025 dell’Imd Smart City Index, dopo aver condotto uno studio su 146 città distribuite in tutto il mondo, ha presentato le venti città più intelligenti tra le quali spiccano, in modo particolare, diversi centri urbani europei e asiatici. Ecco nel dettaglio la top 10 mondiale delle Smart City per il 2025: al primo posto si trova Zurigo, seguita da Oslo, Ginevra, Dubai, Abu Dhabi, Londra, Copenaghen, Canberra, Singapore e Losanna. Per il sesto anno consecutivo, Zurigo si conferma in testa alla classifica - seguita da Oslo che si conferma al secondo posto - conquistando una doppia valutazione AAA sia per le strutture sia per le tecnologie. La città eccelle in vari ambiti, tra cui assistenza sanitaria, trasporti pubblici, mercato del lavoro, partecipazione politica, velocità di connessione e riciclaggio. Anche Ginevra ha ottenuto la stessa valutazione in entrambe le aree tematiche, distinguendosi per l’ampia presenza di spazi verdi, la qualità dell’accesso all’istruzione, la digitalizzazione dei trasporti pubblici e la partecipazione attiva ai progetti di sviluppo urbano. La capitale del Regno Unito arretra invece di due posizioni, penalizzata da alcune criticità legate in particolare alla sicurezza pubblica. Losanna perde invece tre posizioni, nonostante abbia ottenuto una valutazione AA in tutte le sottocategorie legate alle strutture e mostri segnali positivi nell’ambito tecnologico, passando da A ad AA.

Singapore: un modello globale di città smart

Presenza costante nella top 10 dello Smart City Index Imd dal 2019, Singapore si conferma, anche quest’anno, una tra le città-stato più smart al mondo. I primi passi verso una maggiore digitalizzazione risalgono al 2014, quando iniziano ad essere introdotte tecnologie avanzate volte a garantire servizi più efficienti nell’ambito dei trasporti, dell’amministrazione pubblica, della salute e della sicurezza. Singapore si avvia verso una sfida ancora più ambiziosa: diventare il primo paese a sviluppare una città eco-smart caratterizzata da quartieri residenziali e zone sicure dedicate a pedoni e ciclisti.

Dubai: un’oasi di modernità nel deserto

Solo negli ultimi anni Dubai si è affermata come significativo punto di riferimento per l’innovazione urbana, investendo molto nello sviluppo di settori chiave come i trasporti, l’energia, la sicurezza e la governance. Qui, i trasporti sono altamente intelligenti: la metropolitana è automatizzata, mentre gli autobus e i tram sono elettrici. La loro gestione avviene attraverso app e sensori, strumenti utili per ridurre il traffico e ottimizzare gli spostamenti. Non mancano le tecnologie sostenibili, pensate per ridurre l’impatto ambientale e ottimizzare l’utilizzo dell’acqua e dell’energia. Entro il 2030, inoltre, Dubai mira all’introduzione di nuove tecnologie davvero rivoluzionarie in grado di trasformare il futuro, come i taxi volanti ed edifici realizzati mediante tecniche di stampa in 3d.

Canberra: la nuova frontiera smart dell’Oceania

Diversa è la situazione di Canberra. Al terzo posto nella classifica dell’edizione precedente, nel 2025 è scesa in nona posizione. Nonostante la retrocessione, il suo valore complessivo resta elevato e le vengono riconosciuti gli sforzi dimostrati, in particolare, nel campo della sostenibilità e della trasformazione digitale, con un impegno concreto volto a migliorare la qualità della vita di cittadini e visitatori. Tra gli accorgimenti più rilevanti è da menzionare la Zero Emission Veichle Strategy, un metodo per promuovere l’utilizzo dei trasporti elettrici atto a ridurre le emissioni di CO2, e il Digital Twin, per il monitoraggio e la gestione di svariate funzionalità cittadine in tempo reale. Notevoli anche i miglioramenti nella gestione del traffico, nell’utilizzo dell’energia e delle risorse idriche.

Abu Dhabi: tra infrastrutture moderne e mobilità sostenibile

La trasformazione di Abu Dhabi in una smart city si è rivelata un vero successo: dal 14esimo posto del 2020 si è guadagnata, in soli cinque anni, il quinto posto della classifica, entrando così nella top 10. Un risultato che evidenzia l’impegno generato anche da un nuovo approccio governativo che, nel 2024, ha condotto a un investimento di quasi un miliardo di euro in progetti sulla mobilità e infrastrutture stradali. Inoltre, si è anche investito nella costruzione di nuovi spazi verdi e parcheggi intelligenti, migliorando in questo modo anche l’estetica delle aree adibite al pubblico. Tra le altre città in Top 10, Dubai, insieme alla già citata Abu Dhabi, eccelle nei servizi medici e nella disponibilità di spazi verdi, mentre Copenaghen si distingue invece per i servizi di riciclaggio e sicurezza. •